«Dialogo impossibile».
È ormai tragicamente evidente che Vladimir Putin abbia mentito fin dal primo momento nel dichiarare che non voleva invadere l’Ucraina e che le imponenti forze militari ammassate ai suoi confini stessero semplicemente esercitandosi. Ma le parole di esibito disprezzo per la sovranità ucraina, di scherno verso i leader e i principi dell’ordine internazionale liberale, quelle con cui si minaccia la “guerra mondiale” mentre si annuncia il processo per i responsabili politici ucraini, evocando la “denazificazione” del Paese, dicono molto sulle reali intenzioni del leader del Cremlino: non solo ingrandimento e (possibile) annessione delle due sedicenti “repubbliche popolari” del Donbass e della, non solo destabilizzazione della presidenza Zelensky, ma un vero e proprio regime change, che porti all’instaurazione di un governo fantoccio filo-russo. Putin è tragicamente “sincero” nel proclamare non solo l’attacco fattuale dell’ordine regionale – esibendo e impiegando tutta la sua potenza militare – ma anche la messa in mora dei principi sui quali quest’ordine si fonda: la supremazia della legge, il rispetto di ogni sovranità, il rifiuto dell’uso della forza per cambiare ciò che non ci piace o non ci conviene (più). In questo Putin porta a compimento il suo discorso pubblico, la sua narrazione, che era iniziata – ricordate? – con quell’intervista concessa al “Financial Times” nel giugno 2019 in cui affermava che il liberalismo fosse diventato “obsoleto”. In questo percorso Putin ha mostrato una straordinaria coerenza, ha esibito la più tetragona convinzione.
Quello che è cambiato rispetto al 2019 è l’avvicinamento sempre più deciso con l’altra potenza autoritaria, la Cina. Anche le dichiarazioni di Pechino sono da prendere in attenta considerazione e da traguardare sui fatti. Xi Jinping nel suo discorso al Forum di Davos del 2017 proponeva la Cina come “new normal” e annunciava il lancio della Belt and Road Initative. Nell’appuntamento virtuale del 2022, Xi ha autocelebrato la superiorità del modello cinese e ha definito i diritti umani “un pregiudizio ideologico”: un tono che riecheggia in quanto affermato ieri dalla portavoce del ministero degli Esteri cinesi, secondo la quale parlare di “invasione dell’Ucraina” riflette un “uso preconcetto delle parole tipico dello stile dei media occidentali”. Come abbiamo già osservato sulle colonne di questo giornale, il collegamento tra le potenze autoritarie si rispecchia anche nell’osservazione delle nostre reazioni, della nostra determinazione a impedire escalation globali avverse ai nostri valori, ai nostri interessi, alla nostra posizione nel sistema internazionale. La fermezza esibita dai leader europei ed occidentali nel rafforzare il dispositivo militare dell’Alleanza è un segnale che mandiamo anche a Pechino che, non certo “per distrazione”, proprio ieri ha violato massicciamente la zona di identificazione aerea di Taiwan. È il momento di ricordarci e di ribadire agli altri che, per quanto impegnativo possa essere, siamo decisi e uniti nel proteggere a livello globale, e a rilanciare a livello domestico, quella democrazia che sola può garantire il fermento e il pluralismo delle società aperte e dei principi sui quali si fondano.