Non ditemi che esagero, perché lo so e non me ne importa.
Poi, ovviamente, ci sono i ricordi «dall’altra parte», cioè da quando sono diventata un’insegnante. Ma quelli sono più semplici, e forse un po’ meno suggestivi: gli auguri di «buon anno»; i visi abbronzati e non ancora tesi; l’abituale silenzio della sala professori rotto dalle chiacchiere sulle vacanze. Però anche lì, in quei momenti prima della partenza, ho sempre avuto l’impressione che sarebbe bastato un niente – un piccolo slancio di follia – e ci saremmo stretti tutti in un abbraccio di solidarietà, scambiandoci la silenziosa promessa di lavorare in armonia.
Vi sto raccontando tutto ciò perché è a questi ricordi che, all’inizio del nuovo anno scolastico, voglio aggrapparmi, nella convinzione che non siano solo pallide schegge del passato. Alzo il muro di questi ricordi davanti al timore che mi pervade troppo spesso, in questi giorni: dopo due anni di Dad, di lontananza dagli alunni e dai colleghi, di difficoltà tecniche, di blocchi psicologici, di smarrimento (didattico e no) ho bisogno di pensare che, nel mio futuro, ci sarà un po’ della meraviglia che mi ha accompagnato da quando avevo sei anni e ho aperto il portone della scuola elementare Umberto di Savoia di Trapani. E, per riuscirci, sono disposta a tutto, persino a scambiare l’odore delle gomme nuove con quello del disinfettante. Voglio essere lì, in quel luogo, in mezzo ai ragazzi, accanto ai colleghi, e pazienza se dobbiamo stare un po’ lontani e con la mascherina. Perché questo promette (e fino a due anni fa ha mantenuto) il primo giorno di scuola: «Non posso sapere se sarà un anno facile o difficile, se ti annoierai o se ti divertirai. Però una cosa posso assicurartela: l’esperienza umana che stai per vivere è unica proprio perché ti porterà a confrontarti “fisicamente” con altre persone, a respirare la loro aria e i loro pensieri, a occupare uno spazio non più esclusivamente tuo, ad accettare l’altro, a uscire dal tuo guscio. Insomma: a vivere».
E se mi state dando della pazza perché ho appena fatto parlare il primo giorno di scuola, fate pure. Il Covid ci ha portato via due anni e, se è verissimo che dobbiamo agire con prudenza, è altrettanto vero che l’errore più grande che possiamo fare è quello di limitarci a sopravvivere, annegando in un mare di paura la speranza, l’immaginazione, l’allegria. Così dirò ai miei alunni quando entrerò per la prima volta in classe, quest’anno. Dirò loro che, anche se non sono materie ufficiali, anche se non ci saranno voti in pagella, quest’anno cercherò d’insegnare loro anche un po’ di coraggio e di fantasia. E sono certa che, come succede spesso, anche loro ne insegneranno un po’ a me.