Fenomeni social/ La protesta degli scontrini nell'estate dei rincari

Domenica 20 Agosto 2023 di Alessandro Campi

Sarà ricordata, questa del 2023, come l’estate della battaglia dei prezzi: le spese per le vacanze alle stelle, gli scontrini troppo alti di bar e ristoranti postati sui social sino a diventare virali e oggetto di polemiche accalorate, il conto della cena non saldato in Albania da turisti italiani e divenuto un affare di Stato quando si è saputo che a onorarlo, a tutela del buon nome della nazione, è stata l’inquilina di Palazzo Chigi.

Questioni e vicende diverse tra loro, alcune serie altre decisamente facete, emergenze sociali e divertissement giornalistici estivi, che andrebbero tenute distinte, ma nel calderone comunicativo, lo sappiamo, tutto ormai finisce per confondersi, confondendo così anche le idee di quei pochi che ancora provano a informarsi e a discernere.

Serissimo e pesante per i singoli e le famiglie il rialzo generalizzato dei costi d’ogni possibile bene e servizio: voli, alimenti, carburanti, l’affitto dell’ombrellone e dei lettini sulla spiaggia.

Aumenti che in alcuni casi, quello del trasporto aereo, abbiamo scoperto essere decisi nemmeno più da persone in carne e ossa, con le quali eventualmente prendersela, ma autonomamente dagli algoritmi in base alle profilazioni soggettive di ognuno di noi. 

In ogni caso, un salasso tale da aver indotto molti italiani a restarsene a casa, ad accorciare il periodo di ferie o a ricercare, fuori dai patri confini, destinazioni più economiche.

Ma il peggio, si dice, arriverà a settembre, con i rincari già annunciati dell’energia, dei mutui, delle spese scolastiche e delle tasse universitarie, del carrello del supermarket. Ma così continuando è lecito chiedersi quando il mugugno si trasformerà in esasperazione e dunque in protesta: legittima ma, ahimé, a quel punto potenzialmente rabbiosa e violenta. La Francia insegna, anche se in Italia non abbiamo bisogno di ammaestramenti: i professionisti politici del caos sono già in azione in vista dell’autunno, basterebbe aver ascoltato o letto con attenzione alcune dichiarazioni o certi annunci drammatizzanti.

Detto questo, di ragioni che possano razionalmente giustificare quel che sta accadendo da settimane a danno dei consumatori ce ne sono davvero poche. La crescita del prezzo delle materie prime, da qualcuno invocata, è una scusa vecchia di tre anni (il trend si è invertito da un pezzo). La guerra russo-ucraina, una bugia, dal momento che gli effetti di quel conflitto sulle economie occidentali - forti all’inizio soprattutto sul versante energetico - sono state anch’esse assorbite (e aggiungiamoci, per chi non se ne fosse accorto, il crescente distacco, prossimo all’indifferenza, con cui le opinioni pubbliche seguono ormai le notizie dal fronte). L’invocazione delle regole del mercato è un trucco ideologico, dal momento che il mercato non è un dato di natura, ma un’istituzione sociale che funziona secondo le regole, buone o cattive, che gli si danno.

Non resta che una spiegazione, per questi aumenti improvvisi e generalizzati, grossolana ma probabilmente la più vicina al vero. Il grosso di quel che sta accadendo è frutto, come spesso accade nei momenti di confusione storica, di ordinaria speculazione, che la politica non riesce a tenere sotto controllo e, se del caso, a sanzionare. Non se ne abbiamo a male gli economisti di professione impegnati a spiegare ai cittadini come s’origina l’inflazione secondo quel che è scritto nei manuali universitari, ma l’impressione è che tutto sia molto più semplice: c’è chi si sta indebitamente arricchendo oltre il lecito e chi si sta impoverendo a beneficio dei primi.

Hanno cominciato ad alzare i prezzi, realizzando profitti eccezionali in tempi brevissimi, i grandi monopolisti globali. E dal momento che i mercati finanziari premiano chi ha margini di guadagno più elevati, costoro si sono guardati bene dall’abbassarli anche quando il costo delle materie prime è calato. Baristi, commercianti e gestori di lidi si sono accodati in modo casareccio a questo trend macro-economico, puntando quest’estate a ottenere utili più alti della media attraverso il ritocco in corsa dei listini.

Vedremo a fine stagione se ne sarà valsa la pena. Probabilmente scopriremo - se è vero che molti turisti quest’anno hanno preferito l’adriatico albanese a quello italiano, un tempo paradiso a buon mercato delle famiglie alla ricerca della meritata vacanza agostana “tutto compreso” - che l’ingordigia affaristica unita alla furbizia mercantile non sempre pagano. A quale economia conviene un consumatore - quello medio, quello dei grandi numeri - depresso e tartassato?

Lo scontrino fiscale giudicato esoso ed eccessivo diffuso via social è stato, non a caso, il fenomeno mediatico degli ultimi due mesi: il massimo dello spirito di rivolta, peraltro inutile, di cui si è stati capaci. Con una curiosa inversione rispetto a quel che accade in altre zone del mondo, dove ad esempio c’è l’abitudine dei rampolli di famiglie ricche a postare i conti stratosferici delle loro cene per dimostrare quanto possano spendere: tremila dollari, ventimila dollari.

Da noi invece ci si lamenta dei dieci centesimi in più del cappuccino con schiuma, dell’euro di maggiorazione per il taglio aggiuntivo del panino, dei sessanta euro per tre pizze e tre birre o di quanto siano cari, ma lo sapevamo già, il caffè e l’acqua minerale a Venezia, Forte dei Marmi o Porto Cervo nell’alta stagione turistica (ma perché andarci conoscendone i prezzi?). Anche da questo si capisce quanto l’esibizionismo via social travestito da indignazione civica sia solo l’altra faccia di un Paese che si barcamena ormai da anni tra rancore sociale, instabilità politica e depressione economica.

Un Paese che non riesce inoltre a liberarsi degli stereotipi che l’accompagnano (spesso autocostruiti, con gli stranieri che si limitano a prenderli sul serio) e dello spirito polemico-partigiano che scandisce ogni momento della sua vita pubblica. Quattro furbastri italiani in vacanza non hanno pagato il conto della cena in un locale albanese. Le immagini della loro fuga e della loro miserabile bravata sono diventate virali. Giorgia Meloni, che si trovava a sua volta in Albania, saputo dell’accaduto ha giustamente saldato il debito adducendo la “vergogna nazionale” come giustificazione della sua scelta. 

Diffusasi la notizia, invece di prenderne atto e di pensare all’autunno complicato che ci aspetta, ne è nato il solito caso politico, a colpi di dichiarazione e lanci d’agenzia da parte di esponenti di tutti i partiti. A conferma che in Italia - come diceva l’analista più acuto del suo cattivo costume collettivo - la situazione anche quando è tragica non è mai seria.

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