Il commento / Il coraggio di essere mamma fino in fondo

Sabato 5 Novembre 2022 di Barbara Jerkov

«Mio figlio ha sbagliato, non si sta a scuola in quel modo». Parole semplici eppure coraggiose. Vogliamo dirlo? Quasi eversive, in una fase storica in cui una qualsiasi sgridata da parte dei genitori è diventata tabù o, peggio, fuori moda. A pronunciarle è stata la mamma del ragazzino che l’altro giorno a Pontedera è stato colpito con un pugno in classe dal professore che stava sbeffeggiando davanti a tutti i compagni. La reazione violenta, e - va da sé - imperdonabile per un educatore, è stata puntualmente ripresa dai telefonini della classe e rilanciata in rete facendo del piccolo provocatore una star del web, mentre l’insegnante è stato sospeso e denunciato. 
Tutto bene quel che finisce bene, insomma. Se non fosse che la mamma del ragazzo in questione, intervistata dal Tirreno, ha fatto un discorso che ci ha spiazzato un po’ tutti. Perché, diciamocelo, eravamo già pronti ad ascoltare il consueto atto d’accusa contro la scuola che non fa abbastanza per i ragazzi traumatizzati da due anni di Dad, contro professori sull’orlo di una crisi di nervi, non rispettosi del ruolo e dei loro studenti, eccetera eccetera. Invece niente di tutto questo. 
«Il gesto dell’insegnante è grave», ha detto la signora, «ma alla base c’è un comportamento sbagliato di mio figlio, che va a saltellare alla sue spalle, alla cattedra, per fare il buffone con i compagni di classe. Non è una vittima, gli ho cancellato il regalo di compleanno per punizione. Ho detto a mio figlio di non vantarsi per la popolarità del video. Gli ho ripetuto che al suo posto mi sarei nascosta per la vergogna». 
Ci vuole coraggio ad affermare cose tanto limpide, di buon senso, all’antica, e allo stesso tempo straordinariamente anti-sistema. Dove per sistema si intende un ordine costituito frutto di decenni di giustificazionismo a prescindere, per cui le cronache sono piene ogni giorno di racconti di insegnanti aggrediti da genitori infuriati per un brutto voto o per una nota sul registro. E’ di poche settimane fa la vicenda pugliese di un professore malmenato dai parenti di una ragazza che aveva richiamato per un ritardo. Non c’è bocciatura che non si traduca in un ricorso al Tar, cercando per via giudiziaria quella soluzione che evidentemente non si ritiene di raggiungere attraverso lo studio: se me l’hanno bocciato, pare essere il ragionamento dominante, è perché quel prof ce l’aveva con mio figlio, se abbia studiato o meno passa in secondo piano. La creatura non si tocca, qualunque cosa abbia (o non abbia) combinato. 
Il punto è che c’è, in questo modo di essere genitori, una rinuncia a indossare i panni scomodi ma indispensabili dell’educatore, che va al di là delle dinamiche familiari rischiando di creare un problema sociale vero. E’ chiaro che è più facile dire sempre di sì, lasciar correre se la mattina i figli preferiscono dormire anziché andare a scuola, uscire con gli amici anziché fare i compiti, firmare una giustificazione se non hanno preparato la lezione. E’ anche una questione di modelli: molti genitori di oggi sono a loro volta figli di madri e padri che hanno interpretato allo stesso modo il loro ruolo, assorbendo (erroneamente) del vento libertario degli anni Settanta l’idea che parole come regole e rispetto degli impegni facciano sempre e comunque rima con autoritarismo. 
Va detto molto semplicemente che non è così.

Che i primi ad apprezzare una guida salda e coerente da parte degli adulti che hanno di fronte sono proprio i ragazzi: avere regole chiare da rispettare infonde sicurezza. La scuola è il primo luogo in cui ci si confronta con l’istituzione, con la vita collettiva, con il lavoro. Ed è a casa che va trasmesso il concetto che la classe non è una piazzetta dove si va per incontrare gli amici, o per giocare con i telefonini a filmare gli insegnanti per prenderli poi in giro sui social. In una parola, la scuola è una cosa seria, così come sono cose serie il rispetto per gli altri (compagni e professori) e l’osservanza delle regole poste alla base della convivenza civile. Giustificare sempre e comunque non fa sentire più amati, lascia solo più impreparati alla vita vera, dove non ci saranno mamme e papà pronti a difendere l’ex ragazzo a prescindere, ma datori di lavoro giustamente esigenti e poco inclini a sentir scuse. Sta ai genitori rimboccarsi le maniche, proprio come ha fatto la mamma di Pontedera, e spiegare cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa va fatto e cosa no. Perché se queste cose non le si impara da piccoli, che cittadini prepariamo per il domani?

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