Pd e gialloverdi/ Troppi autogol antipatriottici sulle missioni

Venerdì 5 Luglio 2019 di Nicola Latorre
Nella seduta della Camera di martedì scorso si doveva approvare il rifinanziamento delle missioni internazionali.
In quell’occasione si è confermato quanto confusi e contraddittori siano i comportamenti di tutte le più importanti forze politiche italiane sui temi della politica estera e di difesa. Fino al paradosso di farci assistere, su alcuni specifici punti, a un bizzarro cambio di voto dei diversi gruppi parlamentari rispetto a quelli espressi nei cinque anni scorsi. 

Con i nuovi ruoli si sono invertite anche le posizioni assunte nella scorsa legislatura. La sensazione è stata che ad ispirare questo stravolgimento sia stato il motto contenuto nel libretto rosso di Mao Tse-tung secondo cui «bisogna sempre sostenere ciò che il nemico combatte e combattere ciò che il nemico sostiene». Prescindendo da una valutazione dei reali processi in atto e degli stessi interessi nazionali. 

Questo cambio di posizioni è subito emerso da un elemento che poteva apparire di forma ma era in realtà di sostanza. Nella scorsa legislatura infatti le forze che oggi sono in maggioranza erano all’opposizione e chiedevano in ogni occasione voti separati sulle diverse missioni militari. Quelle che oggi sono all’opposizione erano in maggioranza e replicavano sostenendo l’incongruenza di una simile richiesta. Cosa assolutamente giusta, perché tutte le missioni e le iniziative ad esse collegate devono rientrare in un quadro strategico unitario di politica estera. 

Ma martedì scorso è stato proprio il Pd che per marcare il suo cambio di linea sugli accordi con la Libia e poter astenersi dal voto sul punto ha fatto ciò che nella scorsa legislatura riteneva inopportuno. Quanto al merito, poi, proprio quegli esponenti del Pd che più di altri avevano sempre sostenuto inaccettabile qualsiasi accordo con i Cinque Stelle hanno di fatto sposato le posizioni che nella scorsa legislatura furono dei pentastellati. Quella cioè di contestare in blocco la strategia che sui rapporti con la Libia e in generale sull’immigrazione il centrosinistra aveva messo in campo. Il Pd ha quindi cercato di salvare capra e cavoli decidendo di astenersi dal votare, formalmente cercando di non smentire il passato. Sostanzialmente rinunciando a una posizione chiara e comprensibile.

D’altro canto le posizioni duramente contestate nel passato dai pentastellati, ora sono state “caldamente” sostenute dalla maggioranza gialloverde. Eppure l’esigenza di abbandonare la logica del “decreto missioni” e approvare una Legge Quadro sulle missioni internazionali nasceva non solo dalla fondamentale esigenza di tutelare i nostri militari all’estero evitando, come spesso accadeva, di lasciarli per alcuni periodi privi delle necessarie tutele economiche e assicurative. Ma dalla necessità di svolgere all’inizio di ogni anno una seria discussione sulle nostre strategie di politica estera e di difesa in base alle quali confermare o meno le missioni internazionali e tutte le iniziative ad esse collegate, quali appunto eventuali accordi frutto di una iniziativa diplomatica. 

Ma la discussione di martedì scorso è stata un’altra occasione persa. Anche a seguito delle discutibili iniziative del ministro dell’Interno tutto il dibattito tra i partiti e nei partiti si è svolto in pratica solo sul tema degli accordi con la Libia e dell’immigrazione. Estrapolando peraltro la questione dal contesto strategico entro il quale essi furono stipulati e assistendo anche qui al paradosso che chi nella scorsa legislatura quegli accordi li aveva faticosamente realizzati non li ha voluti o potuti rivotare e chi li aveva duramente contestati ne ha invece oggi confermato la validità. Senza far derivare l’una o l’altra posizione da una chiara e complessiva strategia di politica estera. Ma soprattutto senza farsi condizionare da logiche interne di partito che tanto più su temi di questa portata appaiono sempre più incomprensibili. 

E ciò che di più preoccupante emerge da tutta questa vicenda non è certamente l’esercizio di incoerenza. Cambiare idea può anche essere giusto. Ma è la drammatica assenza da parte di tutte le più importanti forze politiche, con uno scenario geopolitico così complesso, di una idea di quale sia oggi l’interesse nazionale e soprattutto di come si intende agire, con gli strumenti diplomatici e militari di cui disponiamo, nello scacchiere mediterraneo dove certamente la Libia è per noi il punto di crisi più problematico e importante. Tanto più dopo quanto accaduto nel centro immigrati bombardato l’altro giorno e le dichiarazioni di queste ore di Serraj. 
Ma c’è tanto altro fuoco che cova sotto la cenere. In Algeria dove non si sono più svolte le elezioni presidenziali programmate in un contesto segnato da drammatiche tensioni sociali e da lotte di potere sul dopo Bouteflika che non fanno presagire nulla di buono. A Tunisi i due nuovi attentati terroristici contro le forze dell’ordine ripropongono preoccupanti fragilità interne a un Paese amico e così importante per noi. In Siria i raid israeliani nelle regioni di Damasco e Hom oltre alcuni raid missilistici attribuiti agli Usa contro obbiettivi terroristici confermano che la crisi siriana è tutt’altro che risolta. E ancora nel mese scorso dopo gli attacchi alle petroliere nel golfo di Oman che Washington ha attribuito ai Pasdaran e che Teheran ha smentito, il portavoce dell’Agenzia atomica iraniana ha dichiarato che l’Iran ha quadruplicato l’arricchimento dell’uranio e il presidente Rohani ha minacciato di abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare con tutto quello che ne potrà conseguire in tutta l’area mediorientale. 

Insomma, c’è poco da essere tranquilli e ci sarebbe tanto bisogno di un protagonismo politico diplomatico rispetto al quale la priorità appare più quella di cercare accordi, rinnovarli, implementarli, magari modificarli. Non certamente di strapparli.
 
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