Aumento stipendi, taglio dell'Irpef anche nel 2025? Governo al lavoro per confermare la misura: tesoretto da 3,5 miliardi

La misura garantisce un beneficio massimo di 260 euro all’anno a partire da gennaio

Lunedì 27 Novembre 2023 di Andrea Bassi
Aumento stipendi, taglio dell'Irpef anche nel 2025? Governo al lavoro per confermare le tre aliquote. Tesoretto da 3,5 miliardi

Dal taglio delle tasse non si dovrà tornare indietro. La riduzione dell’Irpef, al momento finanziata per un solo anno (il 2024), dovrà essere confermata anche per quelli successivi.

Sarebbe improponibile sul piano politico, prima ancora che tecnico, un rimbalzo del prelievo fiscale: insomma una situazione in cui i contribuenti si troverebbero a dover pagare nuovamente di più. Per questo il governo ha iniziato a mettere da parte i fondi necessari. 

Nello speciale “salvadanaio” creato per finanziare la riforma fiscale, sono già stati accantonati 3,5 miliardi di euro per il 2025, e circa 2,7 miliardi l’anno a partire dal 2026. Il dato emerge dalla documento del Servizio Studi del Senato che esamina il decreto attuativo della riforma fiscale firmata dal vice ministro dell’Economia Maurizio Leo, e che riduce le aliquote Irpef da quattro a tre, accorpando quella del 27 per cento a quella inferiore e creando così un maxi scaglione che tassa i redditi fino a 28 mila euro con un’aliquota del 23 per cento.

LA MISURA
Si tratta di una misura che garantisce un beneficio massimo per i contribuenti di 260 euro l’anno, ma che si somma al taglio del cuneo contributivo del 7 per cento per i redditi fino a 25 mila euro e del 6 per cento per quelli fino a 35 mila euro. I benefici del taglio dell’Irpef si vedranno già nelle buste paga di gennaio. Ma, come detto, la misura è stata per adesso finanziata soltanto per il prossimo anno. I 4,2 miliardi necessari, sono stati presi dal Fondo per la riduzione della pressione fiscale, a sua volta finanziato grazie al maggior deficit deciso, prima dell’estate, con il decreto del primo maggio. Da dove arrivano invece i 3,5 miliardi del prossimo anno e quelli degli anni a seguire? Si tratta sostanzialmente dei soldi risparmiati con l’abolizione dell’Ace, l’aiuto per la crescita economica. Di cosa si tratta? Tecnicamente è una deduzione dal reddito d’impresa del rendimento figurativo del capitale proprio. 

Nella sostanza è un “premio” alle imprese che reinvestono in azienda gli utili. Un incentivo ad usare capitale proprio invece di fare debito con le banche. Ed è un meccanismo che ha funzionato molto bene ed è stato fortemente apprezzato dalle imprese, ma che adesso è stato sacrificato sull’altare del taglio dell’Irpef.
I soldi risparmiato con l’Ace sono finiti nel Fondo per l’attuazione della delega fiscale. Il “salvadanaio”, appunto, nel quale confluiranno tutte le entrate che derivano dalla riforma fiscale man mano che saranno accertate. In realtà la cancellazione dell’aiuto alle imprese per il 2025 porterebbe nelle casse dello Stato anche di più, 4,8 miliardi, che però in parte servono a finanziare per il prossimo anno (ma con effetto contabile ritardato) la maggiorazione del 20 per cento della deduzione a beneficio delle imprese che assumono. Una misura che a sua ha per ora validità solo annuale.

LE COPERTURE
Ma i soldi accantonati fino ad oggi nel Fondo sono sufficienti? No, secondo l’Upb, l’Ufficio parlamentare di Bilancio. «Sembra implicita», si legge nella relazione depositata in Senato a valle dell’audizione sulla manovra, «l’intenzione di confermarli negli anni successivi. Ciò richiederà una copertura strutturale. Coerentemente con la delega», spiega il documento, «i decreti attuativi individuano all’interno del sistema fiscale risorse strutturali che potrebbero essere utilizzate a tal fine. Tali risorse, derivanti in larga misura dall’abrogazione dell’Ace e dall’Imposta minima nazionale, non appaiono tuttavia sufficienti per finanziare entrambe le misure negli anni successivi». 

Ma è anche vero che il prossimo anno dovrebbero arrivare le risorse generate dagli altri decreti attuativi. Come per esempio l’introduzione della Global minimum tax sulle multinazionali, che potrebbe portare tra i due e i tre miliardi di euro. O il concordato biennale preventivo, l’accordo tra le Partite Iva e il Fisco per fissare le tasse da versare per due anni evitando accertamenti e il cui gettito è stato calcolato prudenzialmente in circa 700 milioni di euro.


 

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