Statali, scatti di carriera decisi dai dirigenti. Zangrillo: «Potranno promuovere i dipendenti, come nel privato»

Parla il ministro per la Pubblica amministrazione: «I concorsi? La Costituzione li prevede per l’assunzione non per fare carriera. I contratti partiranno dalla Sanità»

Martedì 2 Gennaio 2024 di Andrea Bassi
Statali, scatti di carriera decisi dai dirigenti. Zangrillo: «Potranno promuovere i dipendenti, come nel privato»

Ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, sta per partire la nuova stagione contrattuale. Qual è l’obiettivo di questa tornata al di là della parte economica?
«Vorrei approfittare di questa tornata per ritornare su un tema centrale per l’ammodernamento della pubblica amministrazione: il merito». 

Il merito è il termine più citato nella pubblica amministrazione ma ancora poco praticato. Come intende intervenire con il contratto?
«Introducendo un concetto più stringente di quello adottato fino ad oggi».

Stringente in che senso?
«Attraverso la previsione di meccanismi virtuosi per assegnare gli obiettivi, giudicare le performance ed essere così capaci di premiare davvero i più meritevoli».

Più in concreto?
«Dobbiamo affrontare due temi.

Il primo è dotarci di una strumentazione adeguata. Noi abbiamo un’organizzazione ricca di competenze tecniche. Siamo carenti invece sotto l’aspetto manageriale. Io vorrei lavorare su due assi: l’attenzione ai risultati e il miglioramento dei comportamenti organizzativi, che significa saper lavorare in squadra, saper motivare le persone, gestire il cambiamento». 

Stiamo parlando della dirigenza?
«Parliamo soprattutto dei dirigenti. Il loro ruolo non è soltanto esprimere una competenza tecnica, ma è soprattutto essere dei leader, dei gestori di risorse umane. Gestire le persone significa conoscerle, conoscere i punti di debolezza, le qualità e aiutarle a migliorare e a crescere».

Il cambiamento deve quindi partire dai manager pubblici?
«Assolutamente. Se voglio lavorare sulla motivazione delle persone, sulla loro crescita, devo farlo attraverso i dirigenti. Non devono soltanto far funzionare l’operatività, devono occuparsi delle loro persone e farle crescere». 

Le anticipo un’obiezione che le faranno. Con il blocco decennale del turn over gli uffici sono scoperti in media del 30%. È difficile pensare ad altro che non sia l’operatività quotidiana?
«Il turn over è stato sbloccato e le carenze di personale le stiamo affrontando. Nel 2023 avevano un obiettivo di inserire 173 mila persone. A novembre avevamo già inserito 156 mila persone. Credo che i dati definitivi ci consentiranno di superare l’obiettivo che ci eravamo dati. Anche quest’anno assumeremo altre 170 mila persone. E sa come questi risultati sono possibili?».

Come?
«Lavorando proprio sulla modernizzazione e sulla digitalizzazione del reclutamento. Prima della pandemia il tempo medio dei concorsi era di 780 giorni, con l’introduzione della piattaforma InPa, abbiamo ridotto i tempi a 180 giorni. E le annuncio anche una novità».

Quale novità?
«Da domani (oggi, ndr) InPa sarà anche una app mobile. L’abbiamo elaborata con la Federico II di Napoli. Tutti i cittadini potranno verificare i bandi di concorso pubblici e iscriversi alle prove tramite lo smartphone». 

I concorsi sono più veloci, ma per il reclutamento restano due problemi: l’attrattività per i giovani e la difficoltà a coprire i posti al Nord. C’è chi propone le gabbie salariali?
«Sono fermamente contrario alle gabbie salariali. Non credo che dividere il territorio in comparti sia la soluzione. Si può agire sul salario accessorio per aumentare le retribuzioni nelle realtà più complesse, come le grandi città. Sulle retribuzioni però vorrei spezzare una lancia a favore di quelle pubbliche: non è vero che sono basse». 

Non è vero?
«No, almeno per quanto riguarda i livelli di ingresso. Per un neo laureato il pubblico impiego è competitivo. Un giovane che esce dall’università e va a lavorare in uno studio di avvocato per anni guadagna molto meno che nella pubblica amministrazione. Il nostro problema semmai è un altro».

Quale?
«Gestire il percorso professionale delle nostre persone con meccanismi diversi da quelli attuali. La crescita non può essere per anzianità. Si matura un tempo in una posizione, poi si può accedere al concorso e passare alla categoria superiore. È un sistema non più al passo con i tempi. Questi meccanismi vanno ripensati». 

Anche il concorso?
«Va data una responsabilità ai dirigenti. Non possiamo liberarli della decisione di valutare e di premiare, anche sotto il profilo della crescita, un proprio collaboratore. Non esiste nessuna azienda nel privato che per far crescere un dipendente lo obbliga a fare un concorso».

C’è la Costituzione che lo rende obbligatorio?
«L’articolo 97 dice che nella pubblica amministrazione si entra per concorso. Questo nessuno lo mette in discussione. Però credo che le modalità con cui si gestisce l’ascensore sociale nella Pa oggi possono essere ripensate».

Senta l’ultimo suo atto dello scorso anno è stato firmare una direttiva che elimina per i lavoratori fragili l’obbligo di una prevalenza in presenza in ufficio. Non era meglio una norma come nel privato per concedere lo smart working, invece che dare la responsabilità alle amministrazioni?
«Guardi, la pandemia è finita. E credo che anche le misure emergenziali come il lavoro agile per fragili e under 14 debbano rientrare. Detto questo non abbandoniamo chi ha dei problemi oggettivi. Le amministrazioni hanno tutti gli strumenti per valutare caso per caso e tutelare chi ne ha bisogno»

Torniamo ai contratti. Quando saranno convocati i tavoli?
«Prima mi faccia dire una cosa. Il risultato che abbiamo portato a casa con la manovra per il pubblico impiego è veramente rilevante. Non era scontato visto il contesto dei conti pubblici avere un terzo delle risorse destinate ai lavoratori dello Stato. Lo considero un segnale importante per affrontare la sfida della modernizzazione della Pubblica amministrazione, che è l’obiettivo che mi sono dato». 

Il sindacato considera gli otto miliardi stanziati insufficienti?
«Se guardiamo le cose tenendo i piedi per terra è un risultato straordinario». 

La Pa ha quattro comparti: i ministeri, l’istruzione, gli enti locali e la sanità. Poi c’è la sicurezza, che però è un settore a se. Da dove si partirà?
«In realtà siamo già partiti, perché a dicembre abbiamo pagato un anticipo dei futuri aumenti contrattuali. I negoziati inizieranno da quei comparti che necessitano di un intervento più urgente: la sanità, che tra l’altro ha uno stanziamento dedicato di 3 miliardi, la sicurezza e difesa, perché si tratta di un comparto molto sollecitato negli ultimi anni, e gli enti locali, che non hanno potuto beneficiare dell’anticipo di dicembre». 

Quando saranno convocati i primi tavoli?
«Ho già definito l’atto di indirizzo generale per avviare le trattative. Intendiamo convocare i primi tavoli già questo mese».

I nuovi contratti è noto, porteranno aumenti medi del 5,8% delle retribuzioni. Ma c’è da risolvere un impedimento serio ai negoziati, il rischio che gli aumenti facciano scavallare a molti statali il limite dei 35 mila euro di stipendio oltre il quale si perde la decontribuzione. C’è il rischio di azzerare gli aumenti. Che farete?
«È un tema ovviamente che ci è noto. Se dovessimo constatare un effetto significativo, valuteremo una soluzione».
 

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