Pensioni, la riforma: proroga di Quota 103, estensione di Quota 41 e il ritorno di Quota 96. Le opzioni (e la soluzione più conveniente)

Il governo sta valutando diverse soluzioni per il 2024. Ecco quale conviene di più ai cittadini e allo Stato

Mercoledì 26 Luglio 2023 di Giacomo Andreoli
La sede Inps di via dell'Amba Aradam a Roma,

Il governo Meloni è al lavoro sulla riforma delle pensioni. Un nodo complesso, visto che le risorse a disposizione sono poche. L'obiettivo di legislatura della maggioranza resta quello di superare la legge Fornero, ma per ora non dovrebbe essere fatto in modo strutturale. Ci si "acconteterebbe" di misure-ponte, ancora una volta temporanee, come negli ultimi anni. Si ragiona quindi sulla proroga nella prossima legge di Bilancio dell'attuale Quota 103. Altrimenti si ragiona sull'introduzione di Quota 41 contributiva oppure sul ritorno di Quota 96, abolita proprio con la riforma Fornero, ma solo per i lavoratori gravosi. Ma quale delle tre opzioni è più conveniente per le casse dello Stato e quale per i cittadini? 

Riforma delle pensioni, le opzioni in campo

Le decisioni finali non verranno prese prima di ottobre: il governo deve valutare quante risorse saranno a disposizione per il prossimo anno. L'idea di Giorgia Meloni sembra però essere quella di intervenire Opzione donna, così da ampliarne la platea dopo il taglio considerevole effettuato dall’ultima legge di Bilancio, oltre a confermare Quota 103 e potenziare l’Ape sociale.

Entro fine settembre bisognerà approvare la nota di aggiornamento al Def, spartiacque in vista della legge di Bilancio 2024, con cui verrà definitivamente chiarito il dubbio riguardo alle risorse a disposizione. Prima della pubblicazione del documento che aggiorna il Def non ci saranno nuovi incontri con i sindacati. 

Quota 41 o Quota 103?

Se da un punto di vista politico l’ipotesi “Quota 41" (ovvero l’uscita con 41 anni di contribuzione indipendentemente dall’età) resta nel programma di maggioranza, e verrebbe certo incontro alle richieste dei sindacati, questa formula potrebbe risultare troppo costosa per il 2024. Anno per il quale la lista degli impegni finanziari è già lunga: si va dalla conferma del taglio del cuneo contributivo ai lavoratori a un primo intervento sulle aliquote Irpef, senza dimenticare che lo stesso comparto previdenziale assorbirà ulteriori risorse per il nuovo adeguamento degli assegni all’inflazione.

Ecco quindi che la soluzione di default per il prossimo gennaio resta la conferma del meccanismo “Quota 103”.

Ci potrebbe però essere un passaggio intermedio, l’idea di avviare Quota 41, ma con un assegno calcolato con il sistema contributivo, quindi generalmente di importo meno elevato. In questo modo lo Stato ridurrebbe la propria spesa, persino con possibili risparmi nel tempo. Ma nell’immediato dovrebbe comunque affrontare l’onere delle maggiori uscite, se l’adesione degli interessati fosse consistente. A quanto ammonterebbe la decurtazione dell’assegno? La risposta esatta dipende dall’effettivo percorso lavorativo del pensionando e in generale la penalizzazione risulta meno consistente in caso di carriera “piatta”. Si può stimare un impatto negativo medio del 15-20%, da mettere sul piatto della bilancia insieme al guadagno temporale in termini di anni di anticipo del pensionamento. 

Possibili modifiche a Opzione donna

Su Opzione donna per il 2024 si cerca un compromesso: il governo sta pensando a un requisito anagrafico a 60 anni di età, senza distinzioni legate al numero di figli o al lavoro. Verrebbe così eliminata la condizione che ne sta limitando di molto l’accesso, quella secondo cui a poter accedere a questo strumento nel 2023 sono solamente le caregiver (ossia chi si occupa di carichi di cura), le invalide civili (in misura pari o superiore al 74%) e coloro che sono state licenziate (o sono in procinto di esserlo). Al momento a essere escluse sono perlopiù le donne nate nel 1964 (e 1965 nel 2024), per le quali ci sarà bisogno di trovare una soluzione con la prossima legge di Bilancio. 

Il ritorno di Quota 96

Quota 96 permetterebbe l'uscita con 61 anni d'età e 35 di contributi solo per alcune categorie sociali. E tra queste ci dovrebbero essere quelle dei lavori impegnati in attività gravose e usuranti. Con questo nuovo strumento l'Ape sociale verrebbe comunque confermata. Se poi saltasse Quota 96 si potrebbe estendere proprio l'attuale Ape.

Lo strumento, poi, potrebbe anche aprirsi anche alle donne, se non ci fosse un intervento specifico su Opzione donna. Istituita dall'articolo 1, commi da 179 a 186, della legge di Bilancio 2017, l'Ape sociale prevede un'indennità a carico dello Stato erogata dall'Inps, entro dei limiti di spesa, a soggetti in determinate condizioni previste dalla legge che abbiano compiuto almeno 63 anni di età e che non siano già titolari di pensione diretta in Italia o all'estero.

L'indennità è corrisposta, a domanda, fino al raggiungimento dell'età prevista per la pensione di vecchiaia, ovvero fino al conseguimento della pensione anticipata o di un trattamento conseguito anticipatamente rispetto all'età per la vecchiaia. In vigore sperimentalmente dal 1° maggio 2017 la scadenza, in seguito a successivi interventi normativi è stata prorogata fino al 31 dicembre 2023. 

Quale riforma conviene di più

Per lo Stato l'opzione meno dispendiosa economicamente sarebbe la proroga di Quota 103, che costa circa 1 miliardo di euro. Per quanto riguarda i pensionandi, invece, Quota 96 conviene a coloro che svolgono lavori duri e non hanno un’anzianità contributiva elevata. Quota 41 contributiva potrebbe convenire a chi non ha assegni bassi, vista la decurtazione, perché fa andare in pensione potenzialmente anche molto prima. Chi ha meno di 62 anni, quindi, potrebbe guadagnarci. Quota 103, invece, favorisce chiunque ha tra i 62 e i 67 anni e rientra nei requisiti, senza variazioni in base al reddito, potendo così andare in pensione in anticipo di quasi due anni.

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