La cifra sembra importante. Quattro miliardi e seicento milioni inseriti nella manovra del governo sotto la voce «fondo di perequazione infrastrutturale». E lo scopo nobile. Dopo decenni di ritardo, iniziare finalmente a colmare i divari nelle dotazioni di infrastrutture tra il Nord e il Sud del Paese.
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La proposta
Ma andiamo con ordine. La perequazione infrastrutturale è prevista da anni, dalla legge 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che diceva che il governo avrebbe dovuto effettuare una «ricognizione» degli interventi infrastrutturali da effettuare per colmare i divari tra i vari territori e dare, in sostanza, a tutti i cittadini eguali diritti. Avrebbe dovuto dunque appurare le dotazioni di strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche, delle reti stradali e autostradali, di quelle ferroviarie, delle reti fognarie, di quelle elettriche, su tutto il territorio nazionale. E poi fare in modo che dove c’era una carenza questa fosse colmata. Adesso invece, nella proposta portata avanti dal ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, in costante coordinamento con i governatori delle grandi Regioni del Nord, gli investimenti per ridurre il gap di infrastrutture, vengono legati all’attuazione dell’autonomia chiesta a gran voce proprio da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Insomma, un po’ come se i 4,6 miliardi stanziati, diventassero il «prezzo» di uno scambio: qualche infrastruttura in più al Sud, e l’autonomia al Nord. Ma si tratta di uno scambio iniquo.
Per molte ragioni. La prima è che, nelle continue accelerazioni e frenate del progetto autonomista, il governo continua a dimenticare Roma, città messa sempre più in crisi non solo dalle conseguenze della pandemia, ma anche dalla scelta politica di continuare a privilegiare altre aree metropolitane, a partire da Milano. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, aveva promesso «un progetto importante» per la Capitale e un nuovo statuto con poteri speciali. Ma di tutto questo se ne sono perse le tracce. Per Roma viene solo istituito un tavolo per coordinare le iniziative in vista del Giubileo del 2025. Ma di risorse nemmeno l’ombra. La Capitale, insomma, è stata ancora una volta ignorata. La seconda ragione è che i 4,6 miliardi stanziati dal governo per ridurre il gap infrastrutturale sembrano una gran cifra, ma in realtà sono poca cosa. Primo perché si tratta di somme che non arriveranno tutte insieme, ma un po’ alla volta negli anni. Nel primo anno, il 2022, lo stanziamento è di solo 100 milioni di euro, che diventano 300 milioni l’anno dal 2023 al 2027, per poi infine salire a 500 milioni dal 2028 al 2033.
Gli impegni mancati
I 4,6 miliardi, insomma, sarebbero impiegati in circa un decennio. La cifra dunque del tutto insufficiente a colmare il gap infrastrutturale. Come noto lo Stato non ha quasi mai rispettato l’impegno di spendere nel Mezzogiorno almeno il 34% delle risorse per investimenti. Secondo le analisi condotte sul sistema dei Conti pubblici territoriali, il gap infrastrutturale creato dalle mancate opere solo dal 2000 al 2017, vale 44 miliardi di euro. Circa 2,6 miliardi l’anno. È evidente che voler colmare il gap con 300 milioni l’anno è come voler spegnere un incendio con un secchio bucato.