Quali sono i cambiamenti che gli italiani dovranno tenere d'occhio dal 2024 in chiave economica? In primis, si passa da quattro a tre aliquote Irpef. Questo è il primo step della riforma fiscale targata Meloni, dopo che ha avuto l’ok dal Consiglio dei ministri alla legge delega e che dovrebbe prendere il via dal primo gennaio del 2024 (con effetto sulle dichiarazioni dei redditi del 2025).
Su come però cambieranno gli stipendi davvero non si può ancora dare numeri certi, perché all’appello manca l’altro elemento fondamentale che partecipa al calcolo dell’imposta: ovvero, le detrazioni per lavoro, le cui nuove formulazioni (rispetto a quelle definite dal governo Draghi nel 2022) e le loro applicazioni non son state ancora definite. Dal palco della Cgil, la premier Meloni ha sottolineato il desiderio di dare subito un segnale ai lavoratori con stipendi più bassi.
Lo scaglione della prima aliquota
A spiegare come ci ha pensato qualche giorno dopo il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, che durante un’intervista a SkyTg24 ha parlato di «ampliare lo scaglione della prima aliquota» al 23%, che attualmente arriva fino a 15 mila euro di redditi da lavoro.
Le percentuali delle tre aliquote
Come detto, la premier Meloni davanti alla platea della Cgil ha chiarito di voler partire dall’attuale secondo scaglione Irpef, quello cioè dei rediti da lavoro tra i 15 mila e i 28 mila euro, ai quali attualmente si applica un’aliquota del 25%. Il governo dice di voler abbassare la pressione fiscale per questa fascia di lavoratori e sta lavorando all’accorpamento a partire dal 2024 del secondo scaglione al primo, che ha un’aliquota del 23%. Questo, significherebbe che la fascia 15-28 mila andrebbe a risparmiare 2 punti percentuali di Irpef. Per gli altri due scaglioni le ipotesi di cambio aliquote sono ancora più incerte. L’ultima fascia, quella sopra i 50 mila euro, probabilmente non vedrà alcun cambiamento e resterà l’aliquota del 43%. Per quelo che diventerà lo scaglione intermedio (28 mila-50 mila euro) le ipotesi sul tavolo sono varie: si è parlato di un irrealistico 27%, poi di un 33% e di un 35%.
Come potrebbero cambiare gli stipendi fino a 28 mila euro
Lo abbiamo detto all’inizio: senza sapere quale saranno le percentuali e come verranno rimodulate le detrazioni per il lavoro, è impossibile calcolare come le tre nuove aliquote incideranno realmente sugli stipendi. In questa fase, però, per iniziare a farsi un’idea possiamo fare un calcolo immaginando che le attuali detrazioni restino così come sono e applicando le aliquote che i rumors danno più probabili.
Se l’aliquota scendesse al 23% fino a 28 mila euro, chi guadagna tra i 15 mila e i 28 mila avrebbe un vantaggio crescente di 2 punti percentuali rispetto a oggi. Uno stipendio di 20 mila euro annui, ad esempio, risparmierebbe circa 100 euro di Irpef (il 4,9%), uno di 24 mila circa 180 euro (5,3%) e uno di 28 mila circa 260 euro (5,5%), che è poi la percentuale (e dunque il risparmio Irpef) che si applicherebbe anche a tutti i redditi superiori ai 28 mila euro per la parte che corrisponde appunto al secondo scaglione. Sotto i 20 mila euro di redditi, il risparmio è irrisorio (poche decine di euro).
Se l’aliquota scendesse addirittura al 20% (ipotesi circolata nelle scorse settimane, ma assai poco probabile), un reddito di 20 mila euro, che oggi versa 4.700 euro di Irpef, ne andrebbe a versare 4.000 e avrebbe dunque uno sgravio fiscale di circa 700 euro (-14,89%). Il vantaggio aumenterebbe via via che il reddito cresce.
Come potrebbero cambiare gli stipendi tra i 28 mila e i 50 mila euro
La riduzione di 2 punti percentuali fino a 28 mila euro avrebbe una ricaduta anche sui redditi superiori. Un reddito annuo di 30 mila euro, per esempio, risparmierebbe il 5,5% fino a 28 mila euro, sui restanti 2 mila euro, poi, entrando nello scaglione successivo e immaginando invariata l’aliquota del 35% per i restanti 2 mila euro, vedrebbe scendere il risparmio a 4,6%; mentre un reddito di 40 mila risparmierebbe in valori assoluto il 2,6% di Irpef.
Nell’ipotesi che anche il secondo nuovo scaglione (da 28 mila a 50 mila euro) vedesse scendere l’aliquota dal 35% al 33%, un reddito annuo di 40 mila euro vedrebbe un risparmio Irpef di circa 500 euro totali, mentre uno di 50 mila euro toccherebbe quota -700 euro circa di Irpef.
Flat tax per tutti
La Flat tax per tutti è un obiettivo identitario di questa coalizione di governo e che ha un’orizzonte di realizzazione a fine legislatura, come indicato nella legge delega. Come ha spiegato il viceministro dell’Economia Maurizio Leo a Federico Fubini, il governo crede all’unica aliquota per tutti, «nella quale la progressività sia garantita da un sistema che combini no-tax area e detrazioni in funzione del reddito». Ma cosa significa? Poiché i vincoli costituzionali sono chiari (le tasse devono essere progressive e la flat tax è il contrario di questo dettato), il governo intende aumentare alle fasce più povere di lavoratori la No tax area, ovvero quella fetta di reddito che non viene tassata, oltre a rivedere in rialzo le detrazioni decrescenti (che in un primo momento, però, per finanziare la riforma, vedranno una bella sforbiciata).
Flat tax incrementale
Diverso, il discorso della flat tax incrementale, il nuovo regime di tassazione al 15% da applicare alla parte degli aumenti di reddito calcolata rispetto ai redditi registrati nei tre anni precedenti, limitatamente all’anno 2023 e valido per le persone fisiche titolari di reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo con redditi fino a 40 mila euro, che non aderiscono al regime forfetario. In soldini, viene introdotta la possibilità di assoggettare a una «tassa piatta» del 15% — meno onerosa dell’Irpef ordinaria (e delle relative addizionali regionale e comunale) — l’eccedenza del reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo rispetto al più elevato importo del reddito d’impresa e/o di lavoro autonomo dichiarato negli anni 2020, 2021 e 2022.
Al via l'iter che darà vita a una rivoluzione fiscale che l'Italia attende da 50 anni. Una riforma che mira a ridurre pressione fiscale, creare rapporto di fiducia tra Fisco e contribuenti, incentivare crescita e occupazione secondo il principio del "più assumi, meno tasse paghi" pic.twitter.com/YZVQvbVDnS
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) March 16, 2023
Riforma dell’Iva
Aliquota zero su alcuni beni di prima necessità. Anche sulla riforma dell’Iva ha risposto il viceministro Leo a Federico Fubini: «Le aliquote del 5 e del 10% possono essere oggetto di rivisitazione, come pure quella su alcuni beni, ad esempio quella applicata sull’acqua al 22%», ha spiegato il viceministro. L’obiettivo del governo è rendere omogenea la tassazione per beni e servizi simili. E per farlo, ha detto ancora Leo, «possiamo sfruttare le regole europee che consentono di applicare un’aliquota zero su alcuni prodotti di prima necessità, come quelli per l’infanzia».
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