La guerra del gas continua, infiammata da chiusure e controsanzioni russe, con un terzo delle forniture verso l’Europa a rischio nel momento più delicato per il riempimento degli stoccaggi. E il prezzo del metano torna a volare, mentre l’Ue si prepara ai razionamenti. Dopo lo stop alle consegne a Polonia e Bulgaria deciso a fine aprile, ieri Gazprom, il monopolista russo dell’energia, ha annunciato che interromperà i flussi attraverso la sezione polacca del gasdotto Yamal-Europa, da cui passa circa il 10% delle forniture totali russe, infrastruttura chiave per garantire le consegne al Vecchio continente in caso di radicale stop alla distribuzione attraverso l’Ucraina.
La rappresaglia
All’origine della decisione, la rappresaglia di Mosca in risposta alle sanzioni occidentali contro la Russia, tanto che il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck ieri ha accusato il Cremlino «di usare l’energia come un’arma».
Basta l’annuncio per rendere di nuovo inquieti i mercati, con il prezzo del gas che sulla piazza di riferimento di Amsterdam è schizzato a quasi 110 euro al megawattora nel primo pomeriggio, per poi chiudere a 104, in rialzo dell’11,5%. Anche perché a preoccupare non c’è solo l’annuncio di ieri di Gazprom, ma il fatto che questo segue di poche ore la decisione da parte del governo ucraino di chiudere, a partire da martedì scorso, il punto di ingresso del gas nel territorio ucraino situato a Sokhranivka, nel Donbass, a causa delle operazioni militari nella regione portate avanti dalle forze russe.
Insomma, il cerchio attorno alle forniture in Europa sembra stringersi. Kiev aveva indicato la possibilità per Gazprom di reindirizzare il gas verso la seconda porta di ingresso nel Paese, cioè la stazione di compressione di Sudzha, fuori dall’area dei combattimenti, in modo da garantire il rispetto degli impegni di fornitura pattuiti con i vari Paesi europei. Un’ipotesi esclusa tempestivamente dal colosso russo, che ieri ha anzi ulteriormente raggelato le aspettative, facendo sapere che il flusso di metano che attraversa l’Ucraina si è ridotto di un terzo. Osservata speciale è proprio la stazione di Sudzha, da cui a regime mercoledì transitavano 72 milioni di metri cubi di gas, ma la cui portata ieri si è ridotta a 50,6.
L’allerta
Un terzo fronte aperto, dopo lo stop a Sokhranivka e Yamal, che fa aumentare il livello d’allerta. Sullo sfondo, pure una minaccia esplicita alla Finlandia, nel giorno in cui Helsinki ha ufficializzato la volontà di aderire alla Nato. Secondo quanto riporta la stampa finlandese, infatti, Mosca avrebbe comunicato l’intenzione di tagliare le forniture a partire possibilmente già oggi. O comunque entro la prossima settimana, quando è in scadenza un pagamento da parte di Helsinki, con l’esecutivo Ue che ieri è tornato a ripetere che aderire allo schema di pagamento del conto K, con conversione del saldo in euro in rubli, «viola le sanzioni Ue a cui è sottoposta la Banca centrale russa».
Uno scenario che riporta in auge la prospettiva razionamento: la Commissione europea sta mettendo a punto gli ultimi dettagli del piano RePowerEU, in vista della presentazione la prossima settimana, e dalla bozza emerge che, in caso di interruzione improvvisa totale o parziale delle consegne da parte della Russia, i Paesi Ue dovrebbero procedere con un «razionamento coordinato», ispirato alla solidarietà, cioè con una riduzione dei consumi negli Stati meno colpiti, così da alleviare la pressione su quelli che più accusano l’impatto dello stop alle forniture. Solo questa ipotesi radicale renderebbe operativo anche il tetto al prezzo del gas all’ingrosso sponsorizzato dall’Italia: visto da Roma, un bicchiere mezzo pieno.
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