Extraprofitti, stangata di 3,2 miliardi sulle banche dopo una giornata tesa: il conto si abbassa

Gli extra profitti del governo

Martedì 8 Agosto 2023 di Rosario Dimito
Extraprofitti, stangata di 3,2 miliardi sulle banche dopo una giornata tesa: il conto si abbassa

Il calcolo è stato complicato per tutta la giornata di martedi 8 mentre in  borsa i titoli bancari erano bersaglio di ondate di vendite fino a perdere 9 miliardi valore tutte assieme.

Dai primi calcoli fatti da esperti del settore che portavano il totale della stangata sugli extraprofitti  a quota 9,1 miliardi secondo le originarie indicazioni di franchigie del 3 e 6% sulla maggiore differenza fra i margini di interesse del 2022 sul 2021 e del 2023 sul 2022, in serata il Tesoro ha corretto il tiro: franchigie del 5 e 10% e soprattutto un tetto che passa dal 25% del patrimonio netto allo 0,1% dell’attivo. La correzione di tiro ha abbassato la stangata a circa 3,2 miliardi con le simulazioni di supertassa di circa 955 milioni per Intesa Sanpaolo e di 895 milioni per UniCredit. Ma prima che le bocce si fermassero, sono passate ore cariche di fortissima tensione per i banchieri già in vacanza, ma connessi di continuo con i vertici Abi ma soprattutto, specie qualche banchiere di massimo rilievo per il ruolo ricoperto sul mercato, con il Tesoro e Palazzo Chigi.

Tassazione sugli extraprofitti delle banche, ecco come funziona la nuova misura (e a cosa serve): dai mutui al taglio del cuneo

La stangata del governo sulle banche trae fondamento dalla crescita degli incassi degli istituti grazie ai tassi d’interesse su prestiti alle imprese e mutui alle famiglie. La norma approvata lunedì 7, a sorpresa, dal consiglio dei ministri, infatti, prende di mira i super ricavi che le banche italiane realizzeranno complessivamente nell’ultimo biennio, proprio grazie ai profitti sul credito. Un’attività che era diventata meno redditizia con il costo del denaro rasoterra e che, invece, ha generato incassi super a partire da luglio 2022, quando la Banca centrale europea ha repentinamente alzato il tasso base: da 0 al 2,5% di dicembre scorso, dal 3,5% di marzo al 4,25% di un paio di settimane fa. La fiammata accesa a Francoforte ha consentito alle banche di incassare, grazie agli interessi, nel 2022, ben 45,5 miliardi (sul totale di 88,1 miliardi di fatturato), circa 7,1 miliardi in più rispetto ai 38,4 miliardi del 2021. Quest’anno i proventi legati al credito potrebbero arrivare, secondo alcune stime che circolano in ambienti bancari, a 63,7 miliardi, vale a dire più di 25 miliardi rispetto al 2021.

La scelta di Salvini

Una cifra enorme, secondo il ministro Matteo Salvini, tra i promotori della stangata a carico delle banche. Che, secondo il leader del Carroccio si sarebbero approfittate della politica monetaria, allargando tutta a loro vantaggio la forbice dei tassi d’interesse. Se, infatti, la remunerazione della cosiddetta “raccolta” è rimasta a livello quasi zero per mesi - ed è ancora molto contenuta, nonostante sui depositi a scadenza comincino a essere “pagati” un po’ meglio – gli interessi applicati su mutui e prestiti a famiglie e imprese sono schizzati alle stelle. Spieghiamo bene. Il denaro è la materia prima delle banche: si “compra” attraverso conti correnti e depositi oppure con finanziamenti Bce e si rivende con gli “impieghi” cioè il credito alla clientela. La differenza tra il prezzo d’acquisto e quello dei prestiti costituisce, appunto, il margine d’interesse e proprio a questa voce del bilancio sarà applicato il nuovo balzello del 40% confezionato da palazzo Chigi.

Come funziona

Il meccanismo disegnato dal governo funziona così: la misura sarà applicata all’anno, tra il 2022 e il 2023, che avrà raggiunto il miglior risultato proprio sul fronte del margine d’interesse. In partenza, viene presa in considerazione la differenza fra i due risultati annuali rispetto al 2021. Appare dunque scontato che il bilancio 2023, date le eccellenti premesse, sarà quello “tosato” dal fisco. La base imponibile tra i due anni, va detto, è diversa: in entrambi i casi si prende come punto di partenza la differenza del margine d’interesse rispetto al 2021, vale a dire 7,1 miliardi per il 2022 e 25,3 miliardi per il 2023. Ma se nel primo caso la tassa viene applicata oltre la soglia del 5% dell’eccedenza, nel secondo caso, quello che verrà si passa al 10%. Al Tesoro ovviamente danno per scontato che l’anno da tassare sarà il 2023 e quindi i calcoli esatti si potranno effettuare solo a bilanci approvati, all’inizio del prossimo anno. 

Ultimo aggiornamento: 9 Agosto, 00:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA