Eco: «Il nome della rosa? Ormai lo odio:
tra i miei 6 romanzi parlano solo di quello»

Sabato 14 Maggio 2011
Umberto Eco
ROMA - Ho scritto sei romanzi, eppure tutti parlano sempre del "Nome della Rosa", che io odio perch una sorta di maledizione. Anche quando escono i libri successivi aumentano le vendite del Nome della Rosa. Dice cos Umberto Eco in persona, protagonista ieri al Salone del libro di Torino di una affollata lectio magistralis sul tema «Fare romanzi: libertà e costrizione dello scrittore».



Eco ha parlato anche del Pendolo di Foucault: «Si sente dire che è stato scritto al computer, meno la scena al cimitero sofferta e molto rielaborata. Mentre l’unico capitolo scritto al computer è stato proprio quello e anche di getto. Muovevo le mani sulla tastiera come al pianoforte. È stata come una jam session».



Lo scrittore ha raccontato il suo modo di lavorare al romanzo. Come esso si formi internamente attraverso delle limitazioni di spazi, di tempi, di ritmi che evitano le derive della immaginazione e assomigliano alle barre di graffite che limitano la fissione nucleare. Il Nome della rosa nasce dall’immagine di un monaco avvelenato mentre legge in una biblioteca. Da qui si passa alla necessità di costruire un mondo: una mappa dell’abbazia, del labirinto, disegni dei monaci.



Il discorso di Eco sembrerebbe fuggire dalla realtà e soffermarsi sulle combinatorie e sulle soluzioni interne del romanzo. Al contrario la lezione dello strutturalismo reintepretata dal vissuto di Eco romanziere mostra che tra realtà e romanzo non c’è nessuna frattura. Sia che si pensi a come il romanzo ritrae la realtà, sia che si pensi alla incorporazione della realtà nel flusso ordinato della narrazione. Lo stesso Eco ne diventa una fisica incarnazione quando al termine della sua conferenza fa notare che ha la mano destra fasciata e non potrà firmare i suoi libri. Un po’ come Adso da Melk che nell’ultima pergamena del «Nome della Rosa» scrive: «Fa freddo, il pollice mi duole».



Di romanzi ha parlato anche Paolo Mieli,
presentando la collana Bur "Romanzi d’Italia" nata per raccontare questi 150 anni senza schemi ideologici pregiudiziali e senza l’intento di santificare o dissacrare le fasi e i contesti dentro cui si è sviluppata la nostra storia nazionale. «Gli scrittori dice Mieli hanno raccontato l’Italia meglio di come hanno fatto gli storici». Le opere letterarie vanno lette come documentazioni della temperie storica e dei sentimenti individuali e nazionali che si rincorrono, conflagrano e si sovrappongono tra di loro prima e dopo l’approdo all’unità.



Nello stesso Foscolo trovano posto l’esaltazione per Napoleone e la delusione per le promesse tradite dai francesi con il trattato di Campoformio, espresse nel lamento di Jacopo Ortis: «Il sacrificio della patria è consumato: tutto è perduto».
Ultimo aggiornamento: 15 Maggio, 21:02

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