Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 80 al via: passato, presente e futuro
della Mostra e di sé secondo Alberto Barbera

Mercoledì 23 Agosto 2023

Alberto Barbera, siamo alla 12^ vigilia consecutiva del suo mandato come direttore della Mostra (più altre 3 stagioni a cavallo del millennio), che di fatto da tempo significa il record storico delle presenze in questo ruolo. Come si riparte dopo 12 anni chiamato ancora a un lavoro, dove il rischio dopo tanti anni è che diventi routine?

«Dico subito che non avrei pensato in quel lontano 2012 di essere ancora qui oggi: certo però che questo non equivale, almeno per me, al rischio di una ripetitività che spegne entusiasmo e attenzione. Lo spirito insomma è sempre quello. D’altronde questo è anche un ruolo che si impara strada facendo e credo che allora, ma direi ancora dal mio primo mandato, molte cose in me e soprattutto nel mondo del cinema, ma anche nel mondo in generale, siano cambiate».

In meglio o in peggio?

«Tutto è diventato più difficile. Il lavoro si è spalmato in pratica in tutto l’arco dell’anno, non negli ultimi mesi prima del via come una volta. E specialmente dopo la pandemia, niente è come prima, non solo la ricerca dei film. Oggi tutti vogliono andare ovunque, vogliono risposte immediate: i produttori sono terrorizzati, pensano che andare a un festival sia fondamentale. Il traffico delle mail è sbalorditivo. Nel mio primo anno, quando non eravamo nemmeno nel 2000, visionavamo circa 900 film. Quest’anno siamo arrivati a 4.150, un numero impressionante. Scegliere diventa sempre più complicato. E scegliere presto, perché nessuno ha più pazienza, ancora di più».

Verrebbe quasi voglia di mollare.

«No, questo mai. Anche se tutto è più faticoso di una volta e la gioventù è sempre più lontana, poi basta l’epifania di un grande film inatteso, la conferma di un grande regista, la forza e la voglia di certi giovani esordi, che ti dimostrano come il cinema sia ancora vivissimo, a darti la spinta necessaria per fare questo mestiere, sempre bello».

Guardando indietro, che cammino vede?

«Un percorso di grande soddisfazione. L’obiettivo allora era quello di rilanciare un festival che soffriva troppo di concorrenze varie, non solo Cannes e Berlino, ma anche Toronto e Telluride, di strutture da rimodernare, di un luogo da rilanciare. Soprattutto di far parlare il mondo di nuovo di Venezia, dove le star ormai erano assenti. Venezia sembrava spenta, con diversi problemi. Abbiamo puntato su alcune strategie, che si sono rivelate vincenti, a cominciare dal ritorno degli americani, delle star importanti: oggi Venezia sta lì in cima, per prestigio, credibilità, organizzazione, capace di attrarre un pubblico numeroso, grazie anche a tutto il restauro fatto in questi anni sulle strutture ormai decadenti e ora invidiate da tutti».

Certo Hollywood, le star, mettiamoci anche gli Oscar, che fanno tanto vetrina: Venezia ha fatto centro. Ma proprio le star quest’anno potrebbero mancare ed è curioso notare come Venezia, il festival uscito più indenne dalla pandemia, sia ora minato da uno sciopero. A che punto è la situazione?

«Diciamo fluida. Al momento non possiamo garantire niente, ma nemmeno escludere niente. Dello sciopero in America ormai si è detto tutto, dai motivi, spesso condivisibili, alle azioni prolungate, che rischiano di bloccare un po’ tutto. Intanto abbiamo salvato i film, a parte il solo caso di Guadagnino. Ed è già un grande risultato. Francamente non so dire se ci sarà questa o quella star, si deciderà all’ultimo per tutto. Non ci possiamo fare niente».

Insomma il futuro del cinema, almeno quello da grande incassi, e dei festival per il prossimo anno non sembra roseo.

«Attraversiamo e attraverseremo momenti di difficoltà. Forse nel brevissimo non cambierà molto, ma siamo alla vigilia di un’altra trasformazione epocale, dopo il digitale, con l’avvento della Intelligenza artificiale nella lavorazione dei film. Non è facile essere ottimisti ed è comprensibile la mobilitazione in atto».

Il futuro di Barbera come sarà invece? Il contratto è in scadenza al termine dell’edizione 2024, c’è il rischio che non venga rinnovato (o magari perfino anticipatamente rescisso), sapendo che a breve cambieranno anche i vertici della Biennale? Insomma: come si definirebbe in questo momento: sereno, vigile, preoccupato?

«Sono ovviamente sereno. Perché dovrei preoccuparmi? Io ho ancora un anno di contratto, dopo questa edizione che inizia. Non conosco altro. Quindi mi aspetto di chiudere questa fase. E poi si vedrà».

Vediamo da vicino questa prossima edizione. Forse è la più ghiotta da lei creata: Michael Mann, David Fincher, Woody Allen, Roman Polanski e altri nomi eccellenti. L’attesa è altissima.

«Penso e spero di sì. Sono molto orgoglioso di questa edizione. Non lo nascondo».

Ci sono ben 6 film italiani in Concorso, non accadeva da 40 anni. Per molti una esagerazione, nello stile ormai di Cannes, dove la presenza di produzioni francesi è quasi insopportabile. Sei film italiani, nonostante Barbera sia stato negli ultimi anni piuttosto critico con il cinema nostrano, a costo anche di sollevare polveroni polemici.

«C’è stato un cambio di passo nell’ultimo anno. Dall’Italia abbiamo ricevuto ben 226 film da visionare. Tanti, forse troppi. Però si avverte come la generazione di produttori di mezzo sia più coraggiosa, come i finanziamenti si siano rafforzati, come i risultati siano, in un’evidenza che difficilmente si può contestare, più soddisfacenti. Vedrete che i 6 film italiani meritano il Concorso».

E poi ci sono i temi. In Conferenza stampa si è parlato di un focus consistente sugli adolescenti. È questo l’argomento più presente?

«Probabilmente sì. D’altronde è abbastanza logico. Gli adolescenti sono la generazione che più ha sofferto la pandemia, che di fatto ha sottratto loro alcuni anni del periodo più fertile della vita. In più è una generazione che si sente tradita dalle precedenti e che oggi avverte un futuro precario, dove a mancare non è solo il lavoro. Ma ci sono anche altri temi che ritornano, specie la guerra, l’immigrazione, le differenze sociali, l’identità di genere. Semmai a segnare il passo sono i film più intimisti, forse a differenza paradossale di Stéphane Brizé, che invece abbandona i conflitti sul lavoro e si concentra appunto su una coppia».

Che polemiche, esercizio mai in disuso, si aspetta? Biglietti, scarsa presenza di alcune aree, poche donne in Concorso, presenze come Polanski, ma anche Allen e Besson, l’assenza di Radu Jude, premiato invece a Locarno?

«Le polemiche non mancano mai. Sui biglietti si è fatto un gran lavoro di aggiustamento: vedremo cosa succederà. Aree mancanti? Ma se abbiamo film da 54 Paesi diversi, dai. Sulle donne ho già detto: sono in proporzione alle presenze dei film che si sono candidati, e mai così numerose qui. Su Allen, Besson e Polanski credo non serva dire più nulla. Su Radu Jude non è stata una scelta nostra, ma sua e della produzione: abbiamo detto che ci piaceva e di aspettare, ma hanno preferito accettare prima la proposta di Locarno».

Mancherà William Friedkin, che ci ha lasciato pochi giorni fa.

«Un grande dispiacere del tutto inaspettato. Sono stato sul set quando girava il suo ultimo film, che sarà da noi postumo. Nel 2013 gli avevamo attribuito il Leone alla carriera. Una grave perdita».

 

 

 

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 18:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA