Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 77 giorno 1
Lacci e Molecole che legano poco

Giovedì 3 Settembre 2020

Lacci
che il tempo ha consumato, un po’ come i sassi di Gino Paoli. Inizia da questi intrecci (narrativi, simbolici, familiari, esistenziali), la Mostra di quest’anno. Film di apertura firmato da Daniele Luchetti, regista che da “Il portaborse” ha segnato un disarmo progressivo e che ora a Venezia cerca una sua riabilitazione con un triangolo melodrammatico, tratto dal romanzo di Domenico Starnone, che scrive la sceneggiatura assieme al regista e Francesco Piccolo. Certo come film di apertura ci sta pure (pensiamo anche a certi titoli passati negli anni a Cannes nella serata inaugurale), ma uscendo dal cerimoniale lidense, il film approda a un’aggrovigliata (de)composizione caratteriale dei tre personaggi principali, che s’inseguono e si rifiutano per tutta la vita, girando continuamente attorno alla stessa dinamica, chiudendo storia e azioni in un nervoso susseguirsi di sussurri e grida. Siamo a Napoli, anni ’80: Aldo lavora alla Rai di Roma, è sposato con Vanda. Hanno due figli, ma una sera Aldo confessa a Vanda di aver avuto una infatuazione per Lidia. Vanda lo butta fuori di casa, poi se lo ripiglia, perché ogni sentimento vive di distorsioni, Lidia esce di scena e i figli crescono. Una relazione, forse non così rara, dove si accetta una soluzione di “contenimento”, restando insieme, perché separati è peggio. Aldo è un pavido, adagiato in una incapacità di confrontarsi sul serio con le donne, il mondo e dilaniato dai sensi di colpa; Vanda è battagliera, rabbiosa e tignosa, propensa a scoppi furiosi; Linda è il temporale, che passa, lascia i segni, e se ne va. Luchetti svolge questo dramma sentimentale da camera cercando di innervarlo con un montaggio (dello stesso regista assieme a Ael Dallier Vega) chiamato a spaiare tempi e situazioni, in tal modo volendo adeguarsi alla struttura del romanzo e creando un po’ di movimento che smuova una stagnazione incipiente, che il film mostra dopo la fase iniziale, la migliore, dove Luigi Lo Cascio e Alba Rohrwacher sono convincenti. L’entrata in scena degli “anziani” Silvio Orlando e Laura Morante riproduce il cliché delle accuse e delle responsabilità (ma i due attori sono assai meno credibili), mentre la coda tautologica dei figli cresciuti, puntuale arma di ricatto per la coppia (Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini) si riserva l’improbabile colpo di scena finale. Un film che si nutre di simbologie evidenti (i lacci stessi, la distruzione della casa, le fotografie-puzzle di Lidia) e che resta aggrappato a una narrazione assodata, dove la letterialità spopola, e che oggi rischia di lasciare indifferenti più di quanto forse meriterebbe. Voto: 5,5.
La pre-apertura di Andrea Segre, con il suo “Molecole”, istant-movie sulla Venezia in lockdown, attinge ai ricordi privati del regista, che attraverso la figura paterna, per lui sfuggente come la città lagunare, nonostante la sua nascita, cerca di saldare la memoria familiare e il disagio pandemico, in una intima e sofferta ricognizione. Retto dalla voce fuori campo dello stesso Segre, il film fatica però a trovare una sua bidimensionalità compiuta e rispetto al precedente “Il pianeta in mare”, sulla Marghera dagli anni ’60 a oggi, tra le sue cose migliori, non riesce a codificare una realtà con lo stesso sguardo originale e profondo, come talvolta accade alle opere molto “personali”, anche nella rappresentazione dei personaggi. La Venezia così nuda e colpita severamente dall’ultima acqua alta non diventa purtroppo mai metafisica, né visionaria, fermandosi al ritratto prevedibile di una città segregata. Voto: 5,5.
Adriano De Grandis
  Ultimo aggiornamento: 15:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA