Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 76, giorno 2. Padri, figli, mogli, mariti
persi in Cielo e in Terra, ma il Sole è freddo

Venerdì 30 Agosto 2019

Il film del giorno è ovviamente “Ad Astra” del talentuoso regista statunitense James Gray, che finalmente vede la luce, dopo tanta attesa, con Brad Pitt, Tommy Lee Jones e, in fugace apparizione, Donald Sutherland. Racconta la storia, in un futuro prossimo, del cosmonauta Roy, chiamato a salvare la Terra da una fatale turbolenza cosmica, generata probabilmente dall’equipaggio di un’astronave, al largo di Nettuno, partita parecchi anni prima per la missione Lima, della quale nessuno ha saputo più nulla, al cui comando c’era il padre di Roy, Un viaggio pieno di insidie e di segreti, dove Roy compie atti di ribellione per raggiungere il genitore, che tutti credevano da tempo morto e che invece pare ancora vivo. L’evidente riferimento kurziano di “Apocalpyse now”, porta Gray a continuare il percorso inizialmente sviluppato con il precedente “Civiltà perduta”, dove il viaggio rappresenta soprattutto una ricerca interiore di sé, portando l’uomo a confrontarsi implacabilmente con la propria solitudine. Nell’universo, come nella vita. Se l’immaginario fantascientifico ormai è quasi impossibilitato a creare nuovi stupori (d’altronde “2001” più che un punto di partenza sembra inesorabilmente da tempo uno di arrivo definitivo), e qui nonostante la meravigliosa luce di Hoyte Van Hoytema e i sinuosi suoni musicali di Max Richter lo si dimostra ancora, per buona metà il film si snoda attraverso tappe conosciute, sia esteticamente che narrativamente, attingendo curiosamente anche da “Ombre rosse” la furiosa cavalcata nel deserto lunare, per sfuggire all’assalto di inattesi pirati. Solo nella parte finale, quando padre e figlio si incontrano, l’emozione trova il suo picco, portando il film a un pessimismo estremo, lontano dalle pulsioni trascendentali di un Malick, dove l’ossessione di scoprire finalmente nuove forme di vita, che ha portato il padre alla pazzia, si dimostra inappagante. Così l’atto liberatorio conclusivo e il ritorno sulla Terra insegnano probabilmente a Roy che l’unica cosa ancora possibile per sopravvivere e sentirsi meno soli è cercare l’amore di altre persone, che per le nostre ossessioni vengono trascurate. Voto: 7.
Non è certo originale Noah Baumbach: non lo è mai stato. Partito da Brooklyn sulle orme di Woody Allen e smanioso di fotocopiarne location, ambienti sociali, scrittura, senza averne ovviamente il medesimo talento, continua programmaticamente nel suo cinema verbosamente martellante, dove inserire a più riprese puntuali battute ironiche e sarcastiche, provocando la risata, ma raramente evitando la superficie delle cose. Anche qui il canovaccio (autobiografico?)  non si discosta da una storia che racconta una separazione di una coppia di artisti, con figlio, che sfugge di mano ai due protagonisti, grazie anche all’intervento degli avvocati. Lungo oltre due ore (ma erano necessari anche i due lunghi siparietti canori nel finale?), sfiancante nella sua tumultuosa prolissità, “Marriage story” ha il suo climax nel violento scontro tra marito e moglie, quando pensano di risolvere facilmente la questione evitando gli avvocati. Puntuale finale amaro. Nel cast brillantissimo (Scarlett Johansson, Adam Driver, Ray Liotta, Alan Alda), spicca una fenomenale, pirotecnica Laura Dern. Voto: 6.
Dell’ultimo film in Concorso “The perfect candidate” della saudita Haifaa Al Mansour, già nota a Venezia per “La bicicletta verde”, si apprezza il tema della emancipazione femminile in un terreno fortemente ostile, dove una dottoressa si presenta candidata alle elezioni. Un film importante per quello che dice, ma debole nella costruzione narrativa e con una regia molto convenzionale. Voto: 5.
Infine in Orizzonti il film italiano “Sole”, esordio di Carlo Sironi, Lena, una ragazza bulgara, arriva in Italia per vendere la figlia a una coppia sterile, della quale il nipote Ermanno finge di essere il padre. Il rigore formale è sorprendente per un’opera prima, ma il film è troppo ingabbiato, troppo autoriale, con poca vita, finendo in una rappresentazione cupa e disperata che rischia di rivelarsi artefatta. Voto: 6.
  Ultimo aggiornamento: 24-09-2019 17:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA