Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Berlinale 70/4. Undine, Petzold da Orso
Ferrara si perde negli incubi "siberiani"

Lunedì 24 Febbraio 2020
Vento freddo sulla Berlinale, ma i film scaldano poco. A parte l’ultimo lavoro di Christian Petzold, uno dei registi tedeschi più talentuosi, finora snobbato in patria. Sarà (purtroppo) così anche quest’anno?


UNDINE di Christian Petzold (Concorso) – Undine teme Johannes lo lasci per un’altra e lo minaccia di ucciderlo, ma in un attimo lei si innamora di Christoph. Un film come un’opera di Picasso, senza linearità, spiazzante e geometricamente sghembo. Il mito dell’Ondina, l’acqua, l’amore e il tradimento. Ancora una volta Paula Beer e Franz Rogowski, in un melò destrutturato, fuori da ogni sintomatologia realistica, straordinario nel non essere mai banale, come tutto il cinema di Petzold, qui forse al suo film più “semplice” e proprio per questo più rischioso. Ecco volendo trovare un piccolo difetto, forse c’è un eccesso di simbolismo, dal palombaro al modellino della Berlino che si ricongiunge dopo la caduta del muro (lei è guida allo Stadtmuseum), ma grazie al cielo finalmente un film che viaggia inquieto per strade e incroci inaspettati, tra Bach e i Bee Gees. Bellissima la scena dell'acquario, incontro fatale. Per ora il film più meritevole dell'Orso. Voto: 8.
TODOS OS MORTOS di Caetano Gotardo e Marco Dutra (Concorso)
– All’alba del Novecento, il Brasile, dove è stata abolita da poco la schiavitù, si avvia ad affrontare il nuovo secolo, come le donne di casa Soares, aristocratiche del caffè, oggi in rovina e quelle della famiglia Nascimento, ex schiavi che faticano a trovare un posto nella sua società. Un film al femminile, quasi tutto in interni, verboso e faticoso, ma che strada facendo sa costruire un’atmosfera inquietante, dove a dominare sono in fantasmi di un mondo in disgregazione. E che, nonostante i troppi finali, sa ritagliarsi una conclusione ai giorni nostri tutt’altro che scontata. Voto: 6,5.
SIBERIA di Abel Ferrara (Concorso)
– Clint vive isolato in una baracca sui monti, con i suoi cani da slitta, ma è continuamente visitato dai suoi incubi, tra sessualità e legami familiari. Un film che pulsa di inquieta stabilità, che delega alle immagini la propria anti-narrazione, costruendo un percorso alla fine incompiuto e inafferrabile. Ferrara resta un regista dissonante, capace di uno sguardo magnetico e al tempo di disperdere la propria creatività. Willem Dafoe segue istintivamente la ricerca esistenziale, ma l’insieme sembra costruito un po’ a caso. Voto: 5.
  Ultimo aggiornamento: 10-03-2020 15:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA