Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Una Mostra che non avremmo
mai pensato di vivere: Venezia 77 al via

Mercoledì 2 Settembre 2020


Tutte le vigilie affascinano, l’ultima inquieta. Sta forse rinchiuso in questo rimando al titolo italiano di un celeberrimo film di Jean-Pierre Melville, straordinario regista francese, l’atmosfera che collega l’euforica tradizionale attesa della Mostra veneziana, con quell’ansia che stavolta accompagna ogni passo
di chi ha deciso comunque di partecipare a un evento che nasconde purtroppo un’insidia ben nota. Bisognerà alleggerire le nostre preoccupazioni (e speriamo che i film ci aiutino) senza dimenticare mai che l’invisibile è da sempre la minaccia peggiore, perché spesso sottovalutata. Ma qui siamo per vivere il cinema e allora viva il cinema, ma forse non c’è nessuno di chi si muoverà in quest’area lidense di festa trattenuta che non sappia cosa ci sta preoccupando. Ci si muove con attenzione e armati di mascherine davanti al movimento distratto del mare, l’unico che può permetterselo, mentre un muro trumpiano campeggia ostile davanti al Palazzo, ostacolo che proibisce ogni tentativo di avvicinarsi al red carpet, ammesso che quest’anno ci sia davvero la voglia di farlo, con quel vuoto di star, perlopiù americane, che da sempre scatenano l’entusiasmo della folla comune che si accalca (verbo terribilmente sinistro di questi tempi) per un autografo, una foto, anche un solo sguardo verso gli idoli dello schermo. E d’altronde basta fare un piccolo giro per capire che tutto non è come sempre: certo prima del via le strade sono sempre state sufficientemente sgombre, nella pacatezza orgogliosa del Lido, nella sua intimità spesso noiosa e infastidita dal breve chiasso di una dozzina di giorni, ma stavolta la più piccola invasione di sempre (gli accreditati sono circa la metà e anche il pubblico, sull’isola, probabilmente viaggerà su quelle cifre) si accompagna a una promiscuità ancora più nervosa.
Ma siamo qui per i film, come sempre. E il cinema c’è. Poi stabiliremo se allettante o avvilente, sorprendente o risaputo. Il cartellone risente dell’inevitabile buco americano, di qualche francese rimasto a casa fedele a Cannes, ma il resto copre spazi e tematiche varie, specialmente sul fronte italiano, che forse per mancanza Usa sembra perfino più agguerrito del solito, sperando non lasci più rimpianti e meno soddisfazioni di quante si è lanciato ad assicurare il direttore Alberto Barbera.
Si parla di miracolo per aver allestito comunque una Mostra degna del suo nome e probabilmente è vero, anche se tale termine speriamo di usarlo più volentieri all’ultimo giorno, quando tutti ripartiremo da qui ancora intatti, perché il cinema, l’economia e il mondo che lo reggono, valgono sicuramente qualche rischio ed è perfino ovvio sia in questo momento più utile e necessario chiudersi in una sala, che non in un nuovo lockdown.
Nulla in questo viaggio che stiamo per iniziare assomiglia agli altri già fatti, in questa striscia di terra che va dall’Excelsior, sempre più aggrappato alla nostalgia degli anni d’oro, fino al Casinò, dove gli ascensori mettono anche quest’anno paura di essere affrontati, così desolatamente malridotti: ma è un’apprensione tutto sommato leggera. E se prenotare un posto, come stabilisce il protocollo necessario anti-Covid anche per ogni accreditato, sta diventando un esercizio quotidiano ispirato a Ionesco e Kafka, dove spuntano perfino fantomatici hacker iraniani (ma sarebbe più semplice guardare più vicino, non solo geograficamente), la voglia di affrontare la 77sima edizione di questo festival avrà la meglio anche stavolta. D’altronde si comincia con “Lacci”, titolo forse mai così appropriato per il coraggio e l’azzardo di chi si sente legato al bisogno di esserci.

  Ultimo aggiornamento: 14:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA