Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Un pub per amico: Ken Loack commuove
se tra i deboli c'è sempre chi è più debole

Sabato 18 Novembre 2023

Anche se con l’andar degli anni Ken Loach ha perso, com’è spesso inevitabile, la forza di un cinema battagliero, militante, coraggioso, sempre in difesa degli ultimi, forse anche per una minore ricettività sociale, un’urgenza di temi via via andati sbiadendo per mille cause, il suo cinema resta ancora fieramente aggrappato, con apprezzabile coerenza, all’esigenza di tematiche politicamente rilevanti. Certo non sempre i suoi ultimi lavori sono apparsi così densi e solidi, semmai indicativi di un manicheismo sempre più accentuato, schematico e soprattutto un po’ ideologico, dove la volontà di difendere sempre più le categorie fragili diventava a volte un po’ pretestuosa. Ma ci sono anche colpi d’ala. E questo “The old oak”, presentato all’ultimo festival di Cannes, appartiene non solo a quel filone più coinvolgente, ma riesce a fare il punto su una società in continua evoluzione, dove peraltro chi un tempo era il più umiliato, diventa ben presto colpevole di umiliazione altrui. Siamo nella contea di Durham, dove arriva un pullman con profughi siriani, subito osteggiati dalla comunità locale, che si concentra soprattutto nel decadente pub che dà il titolo al film. Yara è una ragazza che appena sbarcata trova un giovane locale che gli rompe la macchina fotografica, segno materiale di una dimostrazione di forza e superiorità nei confronti di chi non possiede nemmeno un tetto e cerca una solidarietà umana. In suo aiuto arriva il titolare del pub TJ, il cui locale da subito diventa una specie di rifugio per gli immigrati, nonostante l’avversità del paese e la cui insegna traballante diventa automaticamente metafora. Così, tra una pinta e l’altra, alcuni abitanti trovano il modo di interagire con i nuovi arrivati, mentre altri passano ad azioni violente, anche contro il pub, oggetto di attentati. Per quello che dovrebbe essere il suo ultimo film (almeno stante le dichiarazioni del regista, ma non è poi così sicuro e sarebbe comunque un peccato), Ken Loach resta fedelissimo al suo cinema e assieme al fedele Paul Laverty dirige l’ennesima storia conflittuale, non più tra proletari e istituzioni sociali, ma bensì tra profughi e comunità locale, a dimostrazione che nessuno è davvero innocente e che il confine tra chi sta nel giusto e chi no è piuttosto fragile. Ne esce non solo l’ennesimo racconto struggente e appassionato, all’interno di un cinema, come si diceva, ancora fieramente militante, ma forse dimostra come anche Loach abbia probabilmente perso la speranza in un mondo migliore, di fronte a una società sempre più egoista. Certo la fiducia nel prossimo non manca del tutto, dimostrata dalla sequenza emozionante nella cattedrale e soprattutto la visita in gruppo a casa di Yara per la morte del padre. Resta un finale più amaro del solito, nonostante la processione, che sembra dialogare con “Il sol dell’avvenire” di Moretti. Voto: 7.

 

 

Ultimo aggiornamento: 00:13 © RIPRODUZIONE RISERVATA