Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Lubo non tiene la durata: Diritti resta incolore
Dieta di età giovanile: Hausner inquietante

Venerdì 10 Novembre 2023

Nel corso degli anni Giorgio Diritti non è un regista che abbia lasciato un segno rimarchevole. Fin dal suo film d’esordio, “Il vento fa il suo giro”, che raccolse un inaspettato successo di pubblico con un passaparola efficace, le perplessità di un autore pronto soprattutto a un didascalismo emozionale erano piuttosto evidenti e confermate dalle opere successive, per altro sempre meno convincenti, soprattutto con “Un giorno devi andare”. Erano quindi molte le aspettative per questo suo ultimo lavoro presentato all’ultima Mostra di Venezia, soprattutto godendo di un appoggio generoso del direttore Barbera. Purtroppo il risultato non è stato in linea con tanta attesa. “Lubo”, infatti, ha un handicap non da poco: dura tre ore e quando si arriva a tale lunghezza, bisognerebbe giustificarlo. E invece il film non lo fa. Trascina a lungo una prima, abbondante parte, per poi virare quasi bruscamente, affastellando una serie di avvenimenti, come a recuperare il ritardo. Peccato, perché la storia di Lubo è lacerante e segnata da un destino cinico e crudele. Siamo nella Svizzera dei Grigioni, all’alba della II Guerra Mondiale. Lubo è un nomade che gira per le piazze dando spettacolo, assieme alla moglie e i suoi bambini. Chiamato forzatamente nell’esercito, scopre ben presto la morte della consorte e il “rapimento” dei figli, secondo un programma di rieducazione degli infanti di strada, piaga istituzionale dell’epoca. Rifattosi clandestinamente un’altra vita con una diversa identità, dopo aver disertato, e stabilitosi in parte anche in Italia, diventa un mercante di gioielli, tra alberghi di lusso e frequentazioni mondane, soprattutto femminili. Nuovamente innamoratosi di una cameriera, ha un nuovo figlio. Ma nel frattempo la verità viene a galla. Se Franz Rogowski si conferma uno degli attori più apprezzabili nel panorama odierno europeo, lavorando con diversi importanti registi, tra cui soprattutto Christian Petzold e attraversando il film con struggente malinconia, anche nei momenti più generosi, il film non dimostra però mai vitalità, reggimentato da una regia piuttosto ordinaria, che non riesce a dare impulso agli avvenimenti, nemmeno nei passaggi più drammatici; e nell’affastellarsi dei temi e dei tempi predilige uno sguardo poco incisivo alla denuncia verso un fenomeno odioso e disumano. Ne esce un film piuttosto incolore, più vecchio che classico, troppo scritto e pensato, a dispetto di una vita movimentata e piuttosto malvagia, dal passo più televisivo che cinematografico. Tenuto in piedi dalla forza della denuncia di una “tratta” dei bambini, riassunta al solito con didascalie finali, non è purtroppo nemmeno ravvivato dal suono improvviso di una fisarmonica. Voto: 5.

A DIETA  - Dieta di età giovanile. Un gruppo di ragazzi di famiglia borghese entra nel programma di un istituto scolastico, dove l’insegnante Novak (Mia Wasikowska) li spinge a mangiare sempre meno, per salvaguardare il pianeta e se stessi. Le famiglie sono per lo più preoccupate, davanti al progressivo allontanamento dei figli dalla tavola: un episodio, di tutt’altro genere, fa tuttavia sospendere l’insegnante. Alcuni studenti fanno un passo indietro, altri proseguono verso quel “Club zero” dove il cibo praticamente viene totalmente ignorato. Come in “Lourdes”, a tutt'oggi suo film migliore e in questo caso quello di maggior affinità, l’austriaca Jessica Hausner s’interroga sulle conseguenze di un’ossessione (lì religiosa qui gastronomica), mettendo sempre in primo piano l’oggetto corpo (lì il recupero dell’attività motoria, qui l’estetica e la bellezza), mantenendo tuttavia una distanza di sguardo, che diventa fertile ambiguità, in un ritratto costantemente allarmante sull’umanità. In questo caso le accuse nei confronti della regista, in chiave ideologica, appaiono piuttosto strumentali. Semmai risalta la consueta ricerca formale, qui asettica e ridotta anche a continue zoomate sui protagonisti, che può alla lunga infastidire e una intermittente superficialità nel prendere una materia incandescente e privarla, nella sua prigione geometrica, di una forza davvero provocatoria. Ma la musica minimalista asseconda lo sguardo, i toni gravi confermano il disturbo generazionale e la parte finale (non a caso collocata in pieno clima natalizio) stabilisce come il mondo ormai si sia piegato a messaggi contraddittori, quando non pericolosamente fuorvianti. E comunque dopo la visione del film, che contiene qualche scena alquanto disturbante, viene voglia di abbacchio. Voto: 6,5.

Ultimo aggiornamento: 00:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA