Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Le vele scarlatte non vanno troppo lontano
Il vero colpo di fulmine è Godland

Giovedì 12 Gennaio 2023

Raphaël torna nel suo villaggio nella Piccardia alla fine della Grande Guerra, dove trova la piccola figlia ma non più la moglie, morta nel frattempo: in paese qualcuno sussurra vittima di uno stupro. L’uomo, rozzo ma non insensibile (è un ottimo artigiano del legno), si prende cura della figlia, che nel frattempo crescerà con uno spirito che mal si lega con le modalità dell’epoca, incontrerà un giovane aviatore e soprattutto una maga che le predirà nel futuro l’arrivo di vele scarlatte che cambieranno la sua vita. A distanza di diversi (troppi?) mesi da Cannes, dove aprì la Quinzaine, e da un secondo passaggio alla Festa di Roma, l’ultimo film di Pietro Marcello arriva adesso in sala. Dopo i documentari su Lucio Dalla e i giovani d’oggi (quest’ultimo assieme a Munzi e Alice Rohrwacher), il regista casertano, torna al cinema finzionale con il suo primo film in lingua francese, cercando la quadratura non facile di un racconto che sposi il verismo crudo iniziale, il realismo magico, la consapevolezza di una profezia e una specie di “musical” singolare. Archivista appassionato e nuovamente attratto dalla riduzione di opere letterarie (si ricorderà il “Martin Eden” da Jack London, che valse la coppa Volpi a Luca Marinelli alla Mostra 2019), stavolta con “Le vele scarlatte” si cimenta con un romanzo di Aleksandr Grin, scrittore pacifista russo del secolo scorso, firmando un film che forse s’inceppa nella prima parte, quando a lungo si concentra sul rugoso viso del vecchio artigiano e decolla (in tutti i sensi) nell’ultimo mezz’ora, quando entra in campo l’aviatore Jean, un Louis Garrel al solito affascinante. Ancora una volta al centro della storia c’è una figura in lotta contro il proprio tempo, ma è soprattutto un film in cui la donna chiede lo spazio per scegliere di vivere la propria vita e non è un caso che la morte della madre non avvenga più per polmonite come nel libro, ma a causa probabilmente di uno stupro, in modo da rendere ancora più evidente la condizione femminile dell’epoca, con palesi riferimenti ai continui terribili fatti di femminicidio che continuano a essere notificati ancora oggi.  Come Martin Eden anche Juliette usa il distacco come emancipazione e certamente la prova della brava Juliette Jouan dà risalto e forza a un personaggio generosamente conflittuale, anche nel rapporto con l’aviatore che le svelerà che la strada è quella giusta. E se il tempo che passa scandisce i cambiamenti di un mondo, qui oppresso nella parentesi tra le due Guerre mondiali, “Le vele scarlatte” riassume, non senza una narrazione irregolarmente compiuta, il senso del matriarcato, la distruzione della figura del principe azzurro e l’emancipazione femminile come libertà delle proprie scelte. Voto: 6,5.

NEL GRANDE NORD - Un giovane sacerdote danese viene inviato in Islanda, nel XIX secolo, per costruire una chiesa e fotografare gli abitanti e il paesaggio. La conferma di Hylnur Pálmason è un western crudele ed estremo, cruciale nelle conflittualità continue (natura, uomini e anche linguaggio), spietato nelle conclusioni e coraggioso nella realizzazione (davvero superbi alcuni carrelli nelle gole e nei ghiacciai islandesi). Chiuso nello spazio limitato del 4:3, "Godland - Nella terra di Dio" rinuncia a ogni spettacolarizzazione, trova il mondo di esaltare lo sgomento di un paesaggio misterioso, immenso e cangiante e il sopravvento dell’istinto sulla ragione, che non risparmia nemmeno il prete. Bellissimo. Voto: 9.

INGANNO DOPO INGANNO  - “L’origine del male” di Sébastien Marnier, che in Italia hanno deciso maldestramente, tanto per cambiare, di chiamare “Un vizio di famiglia”, titolo generico e vago, racconta la strategia dell’operaia Stéphane, che torna nella sua ricca famiglia perduta in Costa Azzurra, presentandosi a un padre che di fatto non l’ha mai vista crescere. Marnier dirige un feroce e, a suo modo, divertente puzzle familiare di furti d’identità e inganni continui, dove tutti sfruttano tutti, nascondendo la verità per proprio tornaconto, in un gioco di perenne scacco. Nel ricordare la perfidia astiosa della serie tv “Succession”, si tratta di un neo-noir scritto abilmente e chiuso dall’inevitabile beffa. Cast in gran spolvero, dove emerge la protagonista Laure Calamy. Voto: 7.

DI NOTTE, A PARIGI - Le strade di Parigi, si sa, sono sempre una bella esplorazione, specie se di notte, non solo del paesaggio cittadino, ma anche di se stessi, dei propri sentimenti. La giovane Marion è una 18enne ferita dalla perdita di una sorella e nel giorno del triste anniversario cerca compagnia tra i propri coetanei, senza riuscirci. Troverà Alex, anche lui con i suoi problemi, attendendo l’alba nella capitale. “Ma nuit” racconta una voragine esistenziale, ma i modi, le atmosfere, le casualità, le frammentazioni di un percorso sembrano tappe codificate in un film che Antoinette Boulat non riesce mai a far palpitare sul serio, al pari degli interpreti. Voto: 5.

AMICIZIA E DOLORE - Leo e Remi sono due giovani adolescenti di 13 anni. Sono amici per la pelle e forse, per il mondo di “sentire” la loro vicinanza, anche qualcosa di più, anche se a quell’età è spesso ancora tutto confuso. Giunti alla nuova scuola, sono oggetto di scherno da parte dei compagni. I timori di essere etichettati portano Leo ad allontanarsi, anche in modo ruvido, dall’amico, che essendo più fragile, ne paga le conseguenze. Dopo “Girl”, il suo film d’esordio premiato a Cannes nel 2018, il giovane regista belga Lukas Dhont con "Close" affronta ancora il tema dell’indeterminazione (ieri del corpo, oggi dei sentimenti), con la già risaputa sensibilità. E Cannes lo premia di nuovo. Ma se il ritratto di due ragazzini è credibile, tutto è un po’ troppo precisino e poco sorprendente. Voto. 6,5.

 

Ultimo aggiornamento: 23:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA