Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

La vendetta di Dogman, una vita tra i cani
Musicisti ed esorcisti: note dolenti

Venerdì 13 Ottobre 2023

Bisognerebbe partire da Caleb Landry Jones, più che da Luc Besson. Perché ha subìto un torto. La giuria dell’ultima Mostra di Venezia, pur in un palmarès piuttosto accettabile, lo ha ignorato per la Coppa Volpi, che avrebbe strameritato. Certo non è il primo e nemmeno l’ultimo a pagare distrazioni dei giurati, ma questa è senz’altro una di quelle dimenticanze che fanno rumore e che ci ricorderemo. Poi c’è anche Luc Besson, certo, nella riuscita di un film, che non è particolarmente originale, ma dove il regista, spesso troppo ambizioso rispetto ai risultati e ormai in una fase diciamo controversa con lavori mediocri e pasticciati, dimostra un equilibrio per lui raro e convincente nel controllare una materia pericolosamente a effetto. “Dogman” ha curiosamente lo stesso titolo di un film di Matteo Garrone (Lo ricordate? Tra le sue opere più meritevoli e persuasive, anche rispetto al recente “Io capitano”) e si avvale dello stesso ambiente malsano, di personalità disturbate, di violenza diffusa e soprattutto di vendetta feroce. Doug è un bambino sfortunato, capitato in una famiglia spaventosa. La sua vita è tormentata e diventa tragica perché il troppo amore per i cani e un’indole introversa, poco maschile in un ambiente terribilmente sessista e distruttivamente autoritario, porta il fratello e il padre a picchiarlo in modo disumano, rinchiuderlo in una gabbia al pari degli animali e infine ridurlo per le troppe botte su una sedia a rotelle, davanti a una madre incapace di opporsi a tanta crudeltà. Lo ritroviamo già grande, circondato da un esercito di cani, suoi unici amici e compagni di vita, di fatto isolato dalla società e episodico artista in uno scenario da drag-queen, dove troverà il modo di ergersi ad angelo vendicatore, mentre un’assistente sociale lo aiuterà a “liberarsi” dei ricordi. “Dogman” è un film sulla violenza che genera violenza, sulla vendetta come arma di compensazione e su ritualità alle quali la nostra società si sta sempre purtroppo più assuefacendo. Caleb Landry Jones, nella sua superba interpretazione, se ne fa carico con una caratterizzazione nervosa, sincopata, tagliente e a tratti sarcastica, alternandola a momenti più intimamente soddisfacenti, cercando di estrarre da sé il suo lato più sensibile, minato da una fanciullezza di soprusi. Tra echi quasi disneyani, la voce dolorosa di Édith Piaf, accelerazioni queer e qualche rimando a “Joker”, il film mostra un universo maschile rozzo e aggressivo, a tratti insistito in una visione manichea, prendendo spunto da un fatto di cronaca e costruendo una parabola su uno sterminatore quasi angelico, servito da una pattuglia di cani, anch’essi attori straordinari, mentre il sipario non può che calare su un finale che ricorda la pietà di “The elephant man”. Voto: 7.

NOTE MATRIMONIALI DOLENTI - Il tumultuoso rapporto tra il celeberrimo compositore russo, omosessuale, e sua moglie Antonina, che non accettò mai di divorziare, diventando vittima di un’ossessione ingovernabile e fatalmente distruttiva. Purtroppo il russo Kirill Serebrennikov, al suo decimo film con “La moglie di Tchaikovsky”, non ha l’esuberanza provocatoria di Ken Russell e tutta la sua creatività sfocia in un’evidente cura dello stile, che però non sorregge una materia moralmente incandescente, restando impantanato in una messa in scena cupissima e paradossalmente statica e ripetitiva nella sua teatralità, portando la protagonista (una brava Alyona Mikhailova) a un tormento degno di Adele H., con tratti di critica sociale al maschilismo imperante. Voto: 6.

LA PAURA CHE NON C'É - Una coppia in vacanza a Haiti. Un terremoto devastante. La moglie, incinta, muore dando tuttavia alla luce Angela. Quasi tre lustri dopo, la ragazza assieme all’amica Katherine si attardano in riti magici, risultando scomparse per tre giorni. Alla loro riapparizione, entrambe risultano possedute. Nel cinquantesimo anniversario del capolavoro di William Friedikin, David Gordon Green, dopo aver un po’ saccheggiato la saga di Halloween (non senza qualche piccolo pregio), con "L'esorcista - Il credente" si avventura anche in questo ulteriore filone, producendo un sequel diretto dall’originale, che risulta essere incapace di autentica tensione, estremamente noioso (specie nella prima parte) e timidamente spaventoso, con un rito liberatorio decisamente poco disturbante. Voto: 4.

Ultimo aggiornamento: 15:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA