Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Felicità: Ramazzotti non dà una gioia
È del sarto marocchino il meglio del weekend

Venerdì 22 Settembre 2023

È sempre più diffusa la smania da parte degli interpreti di fare il grande salto dall’altra parte e vedere un po’ che succede nel provare a diventare regista. Talvolta nascono talenti (nella storia del cinema esempi non ne mancano), più spesso sono esperienze passeggere, che si spengono presto; o se durano continuano a restare abbastanza inosservate. Non poteva mancare quindi Micaela Ramazzotti, non foss’altro per il periodo in cui è rimasta legata a Virzì.Per il suo esordio si è fortunatamente orientata su personaggi e storie già frequentate nella sua carriera, specialmente restando vicina a ruoli in qualche modo dissociati, disperatamente fuori sincrono, variabili incontrollate del racconto. Qui è Desirè che da subito conosciamo calata in un ambiente professionale e familiare di grande disagio. Nella prima scena sappiano che è una parrucchiera che lavora nel cinema e subito l’attore che sta acconciando cerca di convincerla ad avere un rapporto orale con lui; nella seconda la vediamo firmare, come garante, un prestito oneroso per il fratello Claudio, che da tempo soffre di malattia mentale, affinché possa iniziare a lavorare come taxista. Sappiamo poi che vive con Bruno, un professore egocentrico, un rapporto che mette ulteriormente in difficoltà la sua esistenza, essendone praticamente succube. Infine è figlia di due boomer, troppo presi da se stessi, incapaci di tramettere fiducia e amore ai fratelli, e infine razzisti e fondamentali stupidi. Scritto dalla stessa Ramazzotti con Isabella Cecchi e Alessandra Guidi, “Felicità”, titolo chiaramente antifrastico, mostra i limiti di una scrittura a tratti precipitosa e spesso poco incisiva (il disagio mentale di Claudio resta abbastanza marginale, nonostante sia chiaro che la protagonista è lei), con qualche caduta incontrollata (l’esternazione razzista iniziale in ospedale, la seduta familiare dalla psichiatra, scene di sesso non necessarie, soprattutto quella del padre), ma lascia affiorare una sincerità e un desiderio di raccontare vite difficili, nonostante l’esagerazione di situazioni negative, che fanno apprezzare qua e là il film (l’abbraccio tra fratelli sul letto lascia il segno), al quale la luce di Luca Bigazzi e il montaggio di Jacopo Quadri danno un aiuto importante. Se Micaela Ramazzotti duplica inevitabilmente altri suoi personaggi, a cominciare dalla Donatella di “La pazza gioia”, Max Tortora e Anna Galiena danno vita a genitori orrendi, Sergio Rubini è un compagno avidamente perso dalla sua superiorità, Matteo Olivetti si serve di uno sguardo quasi alieno per mostrare la sua lontananza dal mondo. Ne esce un’opera d’esordio fragile e tentennante, ma autenticamente personale, dentro un male di vivere, che non risparmia nessuno. Voto: 5.

SARTO IN LUNGO - Nella città di Salé, di fronte alla capitale Rabat, Halim è un sarto di grande classe. Ha un negozio che condivide con la moglie Nina, purtroppo malata. Ad aiutarlo arriva il riservato Youssef, giovane di immediata bellezza, che riaccende il desiderio in un uomo, il cui matrimonio è anche un tentativo per sfuggire, in un Paese ancora estremamente conservatore, alla propria omosessualità. La marocchina Maryam Touzani,al suo secondo film, confeziona, al pari del caftano blu oggetto principale del racconto, un film elegante e raffinato, obbligatoriamente casto (ma è già un gran risultato poter raccontare lì storie simili), dove affiora, nella cultura secolare che afferma la sua forza, la necessità di superare pregiudizi atavici e ostilità crudeli. Bravi gli interpreti. Voto. 6,5.

I VOLTI DI ISABELLE - Maureen Kearney è sindacalista di una multinazionale francese del settore nucleare, che si trova a combattere contro la sua stessa organizzazione, dopo cambi al vertice e politiche che non garantiscono un futuro ai lavoratori. L’ostilità del nuovo direttore si manifesta con sempre più vigore, attraverso minacce che arrivano all’aggressione. Ma una volta denunciato il fatto, la sindacalista diventa la principale colpevole al processo. Isabelle Huppert mette in campo tutta la sua abilità nel rappresentare un personaggio scorbutico, ma "La verità secondo Maureen K." non riesce a fare altrettanto, con la regia sbiadita di Salomé, lontano dalla durezza conflittuale di Brizé e dal sarcasmo iconoclasta di Verhoeven, restando nel limbo di un racconto piatto. Da una storia vera.  Voto: 5.

 

 

Ultimo aggiornamento: 14:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA