Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

A Chiara, è vivo il cinema ribelle di Carpignano
Bocciata la scuola cattolica (e le polemiche)

Venerdì 8 Ottobre 2021

Jonas Carpignano è un regista che meriterebbe maggior popolarità. Certo i suoi film si calano in realtà conflittuali, drammaticamente illegali, spaventosamente disperate e il fatto che l’area di perlustrazione sia più o meno sempre la stessa (Gioia Tauro e in generale la Calabria) non facilita, specie fuori da quei confini, l’approccio dello spettatore medio. Chi invece, almeno per curiosità, si è avventurato nel suo cinema, si è riservato qualcosa di abbastanza singolare nel panorama italiano: “Mediterranea” e “A ciambra” sono infatti due titoli appezzabili nello scandaglio di territori e figure, che se raccontate da dentro come in questo caso, cioè da parte di un regista che conosce bene detta realtà, riescono a trasmettere sentimenti molto forti e una partecipazione intensa. Ora con il terzo capitolo, “A Chiara”, vincitore tra l’altro dell’ultima Quinzaine al Festival di Cannes, Carpignano esplora l’adolescenza aggredita di una quindicenne, appunto Chiara, che nel giorno del 18esimo compleanno della sorella, dopo i festeggiamenti scopre che il padre è scomparso. La ragazza così si mette alla sua ricerca, trovando un mondo pericoloso, sommerso, che prova a disinnescare con rabbia e forza. Carpignano chiude il trittico gioiese (citando i lavori precedenti) con la sua opera forse più matura, anche se meno sorprendente ovviamente, trasformando l’agnizione di un genitore per la propria figlia in una specie di horror familiare e sociale (horror non è detto a caso: sonoro e messa in scena sono inequivocabili). Il mondo della mafia calabrese si apre come il vaso di Pandora e Chiara (interpretata da una bravissima Swammy Rotolo) vi si addentra con la forza adolescenziale di chi vuole cambiare quel mondo, trovando continui ostacoli. Chiuso tra due feste (iniziale e finale: l’incipit rimanda un po’ a “Reality” di Garrone), il film è un cupo, angosciato, ma non rassegnato percorso di iniziazione alla vita, un percorso di formazione che permette a Chiara di stabilire una posizione precisa sulla propria famiglia e sulla società, che non è esattamente quella desiderata. Voto: 7.

BOCCIATA LA SCUOLA - L’ultimo film di Stefano Mordini, “La scuola cattolica”, è tratto dal romanzo di Edoardo Albinati (anche lui frequentatore all’epoca dell’Istituto religioso evocato), teatro di crescita di ragazzi della Roma bene, alcuni dei quali nel 1975 si resero protagonisti di uno dei fatti più scioccanti di cronaca, noto come il delitto del Circeo, in cui tre giovani, poi condannati all’ergastolo (uno in contumacia), stuprarono a ripetizione due ragazze, provocando la morte di una di loro. Mordini vorrebbe disegnare un quadro sociale borghese e ricco dentro il quale si sono coltivati i peggiori istinti, spesso contaminati da un’educazione autoritaria o ipocrita dei genitori e della scuola, ma si limita in modo puramente descrittivo a elencare le fasi della vigilia. Se tutto quello che non serve è fin troppo esibito, per giunta appesantito da una voice over che spiega ulteriormente i fatti, il lato oscuro si disperde in passaggi stridenti (il cameo di Gifuni sul bene e sul male), in dettagli mal congegnati (l’omosessualità latente, la generosità di alcune mamme), in uno stile di vita che sembra solo quello di ragazzi nell’euforia della crescita. Inondato inutilmente da canzoni, il film mostra uno stile impersonale, una scrittura tentennante e una regia piatta, che avrebbe fatto meglio a non esibire in un lungo e brutto finale lo stupro e l’omicidio, suggerendone meglio le cause. Ma c’è di peggio: Mordini dimentica completamente di inquadrare l’azione dei tre giovani dal punto di vista ideologico e politico, trasformando i colpevoli, che non nascondevano le loro simpatie per la destra estrema, in una sorta di sciagurati ragazzacci che in un giorno di svago persero la testa. Non bastano certo un brevissimo, quasi goliardico richiamo a Hitler e men che meno il canto corale in macchina delle “braccia tese” battistiane, all’epoca considerato il cantante più amato dai fascisti, per dipingere il cuore nero di quei giovani assassini. Aver dimenticato totalmente questa matrice è imperdonabile. Assolutamente fuori luogo il divieto ai minori di 18 anni, ma anche la puntuale babele di polemiche e confusione (tra divieto e censura) che ne è seguita, manco si trattasse di "Salò". Voto: 3.

Ultimo aggiornamento: 11:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA