Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Casanova, Salvatores e troppo Fellini
Dalla Tunisia un film "fichissimo"

Giovedì 30 Marzo 2023

Il Ritorno di Casanova, il ritorno di Salvatores. Entrambi commettono un’imprudenza. Il primo finisce a duello con il sottotenente Lorenzi, per via di Marcolina, ma si salva; il secondo si avventura sui terreni minati di proprietà felliniana e non gli va altrettanto bene: d’altronde confrontarsi con “8 1/2” è un percorso che nessuno finora aveva fatto, a parte un migliaio di altri registi (non ultimo, il pessimo Iñarritu di “Bardo”); e questo avrebbe dovuto invogliare a desistere. Ma non è stato così. A Salvatores si possono rimproverare diverse cose, non certo la mancanza di coraggio, che però spesso si trasforma in avventatezza. Non sono pochi i film in cui il regista napoletano ha liberato il desiderio di firmare opere a loro modo rischiose, da “Nirvana” a “Denti”, ma con risultati non apprezzabili rispetto all’azzardo, dimostrando almeno una certa vivacità di intenti. In realtà se si eccettua “Io non ho paura”, che è del 2003, negli ultimi vent’anni la decina di film presentati non ha purtroppo lasciato grandi ricordi. Pertanto dopo “Comedians” (2021), che dava l’impressione se non altro di un’opera piccola e fragile ma più compiuta, “Il ritorno di Casanova” segna inevitabilmente una nuova battuta d’arresto, probabilmente tra le più rilevanti di una carriera, a cui l’Oscar per “Mediterraneo” ha fatto più male che bene. Puntualmente anche qua abbiamo un regista in crisi, innervosito dalla propria inconcludenza, pronto ad abbandonare il montaggio del suo ultimo film, che dovrebbe finire al Festival di Venezia (ahimé sempre nominato festival e mai Mostra), ulteriormente capace di scagliarsi contro quella critica che esalta, a suo dire, i giovincelli senza arte. Tutto nel rigoroso bianco e nero, anche quando l’improvvisa apparizione di una giovane ragazza sembra destare l’artista dall’ozio. Parallelamente scorre quel film (ovviamente a colori) pronto per Venezia e che parla di Casanova (tutto è tratto da un racconto di Schnitzler – e quindi partono pure i rimandi a Kubrick, comprese le candele, tanto per restare bassi), durante la sua sosta nel mantovano, prima di tornare in laguna. Elementare nella costruzione dittica, semplice nelle contrapposizioni, il film si avvilisce in una serie di quadretti sconditi (a colori) o blandamente isterici (in bianco e nero: la passerella al Lido è davvero modesta), sprecando anche qualcosa di buono, come il duello a corpi nudi in campo lungo. Bentivoglio resta imprigionato nel suo Casanova, Servillo resta incatenato al suo Servillo, la Serraiocco dovrebbe essere la luce ma non esce dall’ombra, almeno Natalino Balasso (che fa il montatore) è genuino e autentico. Ma il film è tutt’altro che mordace, anche quando vorrebbe essere ironico o addirittura surreale, dove Fellini sembra più un vezzo che una necessità. Voto: 4.

UN FILM FICHISSIMO - Un film leggiadro, quasi esile, eppure capace di parlare di sentimenti, stati d’animo, rapporti e affetti, desideri e soprusi. Siamo in Tunisia, l’estate sta finendo, i lavoratori stagionali raccolgono gli ultimi fichi dagli alberi (è questo il titolo originale): “Il frutto della tarda estate”, titolo comunque apprezzabile, racconta una giornata passate nel frutteto, niente di più. L’esordio nella finzione della franco-tunisina Erige Sehiri, già apprezzata documentarista, è un andirivieni continuo di corpi e voci, raccontato in chiave femminile, dove le relazioni vivono di attimi e tutto sembra così naturale, nel bene e nel male, tra una chiacchiera e l’altra. Voto: 7.

 

 

Ultimo aggiornamento: 23:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA