Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Cannes titanica di nome e di Palma
Ma la scelta (e la gaffe) fanno discutere

Domenica 18 Luglio 2021

(dal Gazzettino cartaceo del 18 luglio 2021)

Stavolta la stima e l’affetto di cui Nanni Moretti gode in Francia, perfino superiore rispetto all’Italia, non sono bastati: non solo niente bis di “La stanza del figlio” (Palma nel 2001), e questo era abbastanza evidente, dopo la visione del film, ma nemmeno un riconoscimento all’interno del palmares scelto dalla giuria diretta governata da Spike Lee, che si è lanciato in una cerimonia desolatamente farsesca, con l’annuncio immediato e incontrollato della Palma d’oro. Tornando a Moretti “Tre piani”, derivato dal romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo, d’altronde ha riscosso più perplessità che entusiasmo per un film più triste che angosciante, con la storia trasportata da Tel Aviv a Roma e in uscita italiana a fine settembre. Essendo l’unico film italiano in Concorso, la nostra storia finisce qua.

Ma uscendo da una porta, l’Italia con forza e talento entra invece da quella prestigiosa: la Palma d’onore a Marco Bellocchio, di cui abbiamo già parlato. Presentato da Paolo Sorrentino, il grande regista piacentino, che ha portato qui il suo ultimo film “Marx può aspettare”, già in sala in Italia, si è detto «ancora emozionato alla mia età. Dedico il film alla mia famiglia allargata e al grande attore Michel Piccoli, che ho visto vincere qui a Cannes con il mio “Salto nel vuoto” 42 anni fa. E dico una cosa sul cinema: due sono le cose che lo fanno grande. Immaginazione e coraggio».

Annunciata senza suspense da Spike Lee la Palma d’oro del 74° festival di Cannes è andata al francese “Titane” di Julia Ducournau, al suo secondo film, una sorta di corpi e metalli che s’inglobano: non fosse derivata da Cronenberg e Tsukamoto sarebbe interessante, ma purtroppo al di là di una potente forma estetica, è solo un film vuoto, pur provocatoriamente divertente. Un regalo esagerato (d’altronde erano ben 8 i film francesi in Concorso e questo sembra ben calcolato), penalizzando il giapponese “Drive my car” di Hamaguchi Ryūsuke, nettamente il miglior film, che si è accontentato del premio alla sceneggiatura.  Premio alla regia a Leos Carax (ci sta), ex aequo quello della Giuria (l’israeliano Navad Lapid e il thailandese Apichatpong Weerasethakul, registi diversi ma con una forte componente autoriale), Gran Premio a un altro impeccabile dilemma morale dell’iraniano Asghar Farhadi (“A hero”) e al sorprendente finlandese Juho Kuosmanen (“Compartment n. 6”) - altro ex aequo (troppi, troppi), mentre miglior attrice è una delle rivelazioni del festival (Renate Reinsve per “The worst person in the world”) e miglior attore è Caleb Landry Jones per il pazzo australiano che fece anni fa una strage nel film “Nitram”, tra i peggiori visti sulla Croisette. Restano fuori in tanti (Verhoeven, Dumont, Wes Anderson, Audiard), ma almeno non si è ceduti a film deboli come “Lingui”, pur nel rispetto dei grandi temi civili e politici che propongono.

Non è stato un festival sereno. La gestione sanitaria, a partire dalle contraddizioni dei protocolli (al Palazzo non si entra senza tampone o doppia vaccinazione, nelle grandi sale sì), è stata pressappochista, spesso irresponsabile (con sale dense di oltre 2300 presenze, senza distanziamento), niente a che fare con l’attenzione, la misura e la protezione viste a Venezia. La mania di grandezza, per altro ingigantita per la sofferenza della cancellazione dell’anno scorso, ha prodotto una quantità incontrollabile di titoli, per dimostrare di essere sempre i più forti al mondo, ma il Concorso, stipato di 24 film, si è rivelato in verità meno entusiasmante dei proclami, con poche opere davvero meritevoli di buon ricordo e un gruppo di film, magari non brutti (a parte le inevitabili 2-3 ciofeche), ma nemmeno memorabili e nessuno dei grandi autori ha certamente presentato il proprio miglior film. Cannes spegne le luci, sperando di non avere strascichi sanitari futuri (qualche positivo, ammesso anche dal festival, è stato trovato, ma tutto è stato minimizzato). Spento un festival, se ne fa subito un altro. Tra una settimana sapremo tutto quello che ci riserverà Venezia: il Covid ha raggruppato gli eventi uno addosso all’altro. I giganti quest’anno si sfiorano. Ma mi sa che, per il 2021, Venezia vincerà nettamente.

 

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