Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Cannes 76, giorno 7. Bellocchio "rapisce"
il cinema marshmallow di Wes sconforta

Mercoledì 24 Maggio 2023

Il sole regge, il fisico un po’ meno. E i film viaggiano in una media accettabile, tra qualche punta (ma senza esagerare) e qualche caduta (numericamente poche). E arrivano gli italiani. E Bellocchio lascia subito il segno.

RAPITO di Marco Bellocchio (Concorso) - Un bambino viene sottratto alla propria famiglia. Ebraica. Una domestica, in età infante lo avrebbe battezzato, temendone la morte precoce e il confinamento nel limbo. E quindi adesso la Chiesa ne richiede la “proprietà” religiosa e siccome siamo a metà Ottocento, il Potere papale, a quell’epoca incarnato nella figura di Pio IX, ha la forza giuridica di poterlo strappare ai genitori e affidarlo a un istituto cattolico. Il bambino si chiama Edgardo Mortara: la storia è vera e all’epoca ebbe clamore internazionale. Diventato grande, Edgardo non solo non ritiene di tornare più a casa, protetto dal proprio culto originale, ma si fa attivista convinto nella divulgazione cattolica, tormentando la propria famiglia a lasciare l’ebraismo e unirsi sotto la Romana Chiesa. “Rapito” ha un titolo secco. Un verbo che non lascia traccia di ambiguità. E secca è anche la forza che il film di Marco Bellocchio, da sempre attratto dai temi religiosi e soprattutto dal potere che essi esercitano, esprime, sia negli atti giudiziari (lo strappo alla famiglia avviene in modo duro per un bambino di quell’età), sia in quegli affettivi (esemplare l’incontro successivo con la madre). “Rapito” è un film lacerante, come “Vivere”, come “Esterno notte”, dove le libertà vengono meno, dove chi comanda, siano il Duce, le Brigate Rosse e appunto la Chiesa, esercita una volontà inaccettabile, una violenza. Ma doloroso lo è anche nella scelta di un uomo, che superata la brutalità del distacco, misteriosamente diventa artefice di una difesa assoluta della Chiesa. Bellocchio si muove nelle stanze del Potere come un investigatore, cercando ogni elemento possibile per capire lo strazio di questa storia, senza il furore ideologico, ma certamente con un intento politico evidente e necessario. E a 83 anni sembra il più giovane dei registi italiani, certamente uno tra i più curiosi, tra i più attivi (ormai viaggia a un film all’anno; ed “Esterno notte” è perfino una serie). Si ritaglia tre-quattro momenti di grande intensità (il dormitorio, il sogno di Cristo che abbandona la croce, la danza in controluce dei preti eccetera), creando un’atmosfera cupa da melodramma tormentato, nella luce di una terra che più di altre ha fatto esplodere le contraddizioni e i conflitti con il potere ecclesiastico. Enea Sala dà la giusta intensità sperduta di sguardo del piccolo Edgardo; Leonardo Maltese accende con il suo volto efebico i risvolti di una dolorosa frattura col passato; Paolo Pierobon imprime crudeltà ai gesti di un Papa che si ostina a mantenere un Potere, nonostante il tempo stia cambiando; Fabrizio Gifuni è l’Inquisitore Faletti, nel suo notarile controllo della legge, mentre la sceneggiatura è dello stesso Bellocchio con Susanna Nicchiarelli, ispirata liberamente a “Il caso Mortara” di Daniele Scalise. Voto: 7,5.

ASTEROID CITY di Wes Anderson (Concorso) – In una zona del deserto del Nevada, nel 1955, dove poco tempo prima aveva impattato un asteroide gigante, formando un vistoso cratere, varia umanità si destreggia in una quotidianità turistica alienante. Nel mezzo di un ritrovo per giovani scienziati, un alieno si cala da un’astronave. Il governo degli Stati Uniti mette tutti in quarantena. Il talento non mancherebbe, ma è raro vederlo così sprecato da anni, in un cinema asfittico che riproduce e ricalca se stesso, in una forma ossessivamente ripetitiva, geometricamente implacabile, a cominciare dai tediosi carrelli laterali, dominata dai colori pastello, da comportamenti bislacchi, da un compiacimento registico che alla fine risulta un evidente limite espressivo. Il cinema marshmallow di Wes Anderson produce quell’effetto da gonfiore temporaneo, apparentemente piacevole, che si svuota velocemente lasciando solo aria, tipico di quella pasticceria zuccherosa e indigesta. Le storie si intrecciano, il paesaggio si compiace della sua tinteggiatura, l’apparato fantascientifico è il diversivo. Così tutto diventa meccanico e senza cuore, senza mai farsi davvero emozione. Cast spettacolare di innumerevoli star, che qui sono soltanto il classico specchio per le allodole. Un cinema ormai senza alcuna sorpresa, che ogni volta lascia invano un’intatta speranza che il prossimo film sia finalmente diverso. Voto: 2.

 

Ultimo aggiornamento: 25-05-2023 15:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA