Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Cannes 76, giorno 4. I killers di Scorsese
non sbagliano il colpo. Haynes cattura

Domenica 21 Maggio 2023

Arriva Scorsese e finalmente dopo quasi 3 giorni di pioggerellina ininterrotta torna anche un po’ di sole. Si scalda il Concorso, ma non troppo.

KILLERS OF THE FLOWER MOON di Martin Scorsese (Fuori Concorso) - Dura poco meno di tre ore e mezzo, ma non c’è un momento in cui la durata pesi, non c’è una pausa, in una storia complessa che racconta l’impressionante catena di omicidi accaduta negli anni ’20 in Oklahoma, nella terra dei nativi Osage, improvvisamente diventati agiati grazie alla scoperta del petrolio, che ovviamente ha fatto subito gola a tutti e che apre praticamente il film, con una danza gioiosa al ritmo di un altro nativo americano, la rockstar Robbie Robertson, mentre tutti vengono bagnati dall’oro nero. Traendolo dal romanzo di David Grann, Scorsese contamina la matrice del western politico, nel quale si denuncia come i bianchi tentarono di eliminare gli indiani, espropriandoli delle loro terre e confinandoli in piccole comunità, con quello del mondo-gangster: basterebbe vedere come si snodano le varie esecuzioni già per coglierne le assonanze, ma non è il solo esempio. Scritto assieme a Eric Roth, fotografato da Rodrigo Prieto che usa il colore per segnare i momenti più espressivi (come il bellissimo finale zenitale, con i nativi a comporre un cerchio) e i chiaroscuri per segnalare le ambiguità dei personaggi principali, montato dalla fedele Thelma Schoonmaker, il film si concentra su Ernest Burkhart (DiCaprio) che arriva a inizio film nella zona degli Osage per incontrare lo zio William Hale (De Niro), che si sente un po’ il boss della zona e ama farsi chiamare King, mostrando anche una generosa disponibilità verso la popolazione locale. Ernest in poco tempo sposa Mollie (Lily Gladstone), la cui famiglia ha proprietà petrolifere. Tutto sembra procedere placidamente, ma tra i morti che cominciano a crescere c’è anche la madre e la sorella di Mollie, nel frattempo diabetica e sottoposta a continue iniezioni di insulina da parte del marito. Il disegno criminale di appropriarsi di tutto il patrimonio porta fuori controllo la situazione, che viene risolta con l’arrivo di Tom White (Jesse Plemons), un ufficiale legale dell’Fbi. Da grande narratore, Scorsese lascia scorrere la storia, svelando pian piano i piani di zio e nipote, alternando scene corali a momenti di confronto a due tra il luciferino De Niro e il finto angelico, e puro idiota, DiCaprio, a cominciare dal primo incontro nel quale i due già armano le loro migliori qualità e per finire in quello più minaccioso in prigione, quando il nipote decide di accusare direttamente lo zio; senza dimenticare quello in cui Mollie accusa il marito Ernest, a giochi fatti, di aver alterato le iniezioni di insulina, con le quali stava per morire, abbandonandolo al suo destino. Forse non è all’altezza dei grandi film scorsesiani (il tempo passa e l’età conta), ma resta un grande film, dove il vero colpo di genio arriva nel finale, quando anziché trovare le consuete didascalie che riassumono la conclusione giudiziaria della faccenda, Scorsese s’inventa un modo bizzarro e sorprendente per farlo. Voto: 7,5.

MAY DECEMBER di Todd Haynes (Concorso) – Elizabeth è un’attrice affermata che irrompe nella vita di Gracie, per catturarne la realtà quotidiana e trasportarla poi sullo schermo. L’interesse per Gracie nasce dal fatto che diversi anni prima era rimasta incinta di un tredicenne, che poi aveva sposato e che ancora oggi è suo marito. Ma entrare nelle vite degli altri comporta sempre uno sconquasso. A partire dal titolo, Haynes gioca con l’enigma di una realtà che si traveste da finzione e viceversa, portando le vite delle due protagoniste (la sodale Julianne Moore e Natalie Portman, ovviamente perfette) a sovrapporsi, arrivando a dimostrarlo con un finale che evita la banalità dell’ormai abusata situazione. Ne esce un film non facilmente catturabile, dove i personaggi si vedono costretti a interrogarsi sulle scelte del passato e i punti di riferimento per lo spettatore non sono così automatici. Film bello, senza poter spiegare facilmente perché, lasciando una percezione misteriosa e sfuggente, non privo di sottile ironia. Voto: 7.

BANEL & ADAMA di Ramata-Toulaye Sy (Concorso) – Debutto della giovane regista franco-senegalese (unica opera prima in gara per la Palma), che però dirige un’opera acerba, pur se in sintonia con i temi odierni, soprattutto di rivendicazione femminile. Due giovanissimi si amano in un villaggio nel deserto: hanno 18 e 19 anni. Adama è un ragazzo mite, che non ama prendere troppe decisioni e quando viene investito di diventare il capo della comunità, rifiuta; Banel, al contrario, è una ragazza ribelle, che non vuole essere costretta a fare solo le cose da donne, ribelle in famiglia e in comunità. I due sognano di sganciarsi presto da quel mondo limitato, a cominciare dall’avere una casa propria, anche se la scelta cade su un edificio che la gente reputa stregato. Un film fin troppo semplice, dove mancano soprattutto il sudore, la polvere, i forti contrasti, mentre il villaggio sembra quasi svizzero nel suo lindore e gli abiti sgargianti dei personaggi usciti senza una misera macchia da una sfilata di moda. Cartolina dall'Africa. Voto: 5.

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 12-09-2023 12:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA