Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Berlinale 71 giorno 4: finezze Hamaguchi
dilemmi morali Iran, Fliegauf asfissiante

Venerdì 5 Marzo 2021

Berlinale verso la chiusura, per ora una buona media di film, con alcuni picchi e nessun film da buttare.

GUZEN TO SOZO di Ryusuke Hamaguchi (Concorso) – La modella Meiko conversando in auto con l’amica Tsugumi si rende conto che il ragazzo con cui quest’ultima sta intrattenendo una relazione è il suo ex; premiato con il più prestigioso riconoscimento letterario giapponese, un professore di mezza età è oggetto di una vendetta da parte di un suo studente, che non è riuscito a laurearsi, attraverso la trappola predisposta con un’amica; due donne si incontrano casualmente dopo tanti anni sulle scale mobili della metropolitana: erano compagne di scuola. Ma l’incontro nasconde un fraintendimento. Un film a episodi (divertente il primo, meno riuscito il secondo, molto bello il terzo), che esaltano ancora la scrittura di Hamaguchi (premiato a settembre a Venezia per lo script di “Wife of a spy”), dove la quotidianità e gli incontri, all’apparenza banali, nascondono percorsi invece inaspettati. Un cinema raffinato, dotato di una sua grazia, a volte impalpabile, ma capace di distillare situazioni e sentimenti in modo traversale. Voto: 6.5.

BALLAD OF A WHITE COW di Behtash Sanaeeha, Maryam Moghaddam (Concorso) – Mina è una giovane donna iraniana con una figlia sorda. Suo marito accusato di omicidio viene giustiziato. Un anno le autorità le spiegano che si è trattato di un errore, si scusano e offrono una ricompensa. Nel frattempo un uomo si presenta e dice di avere un debito col marito e di volerlo estinguerlo. L’uomo pian piano entra nella vita di Mina. Ma la verità su questo uomo è un’altra. Dall’Iran arrivano sempre più film che si interrogano sulla pena di morte (“There is no evil” di Mohammad Rasoulof vinse l’anno scorso l’Orso d’oro), ma stavolta una sceneggiatura piatta e una regia semplice non permettono al racconto di avere un impatto forte e coinvolgente. Siamo insomma lontani dai dilemmi morali complessi di Farhadi e purtroppo il finale è brutto e girato in modo pacchiano, avendo tra l’altro l’occasione di risolverlo con l’ambiguità di un epilogo aperto. Voto: 5,5.

FOREST – I SEE YOU EVERYWHERE di Bence Fliegauf (Concorso) – A quasi vent’anni dal suo “Forest”, il regista ungherese ci racconta altre storie (sono 7), in uno stile nervoso e agitato, in piani sequenza claustrofobici addosso ai protagonisti, accesi da conflittualità, drammi, tragedie: la coerenza non manca, ma emerge qualcosa di artificiosamente disturbante, soffocato dalla parola e dal gesto, prima che la luce compia il suo ingresso. Se si resiste, si può anche apprezzare. Voto: 6.

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 11:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA