Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Anatomia di una Palma d'oro: Justine Triet
sul confine uomo e donna, caso e delitto

Giovedì 26 Ottobre 2023

Anatomia di una Palma d'oro. Premessa: non fatevi troppo prendere dal dubbio, schierandovi tra innocentisti o colpevolisti. Non è questo il vero interesse E in questo il film diventa molto chiaro subito. La faccenda “gialla” è un espediente narrativo, ciò che innesca la storia, il McGuffin, come lo chiamava Hitchcock, maestro assoluto di questo escamotage. C’è un morto. Probabilmente un incidente. Ma non è chiaro. E i sospetti iniziano subito. In mancanza di testimoni. Però il film parla soprattutto d’altro. E la morte scoperchia questo altro. Spieghiamoci meglio. In uno chalet di montagne, vicino Grenoble, una giornalista sta intervistando Sandra Voyter, una scrittrice tedesca in vacanza con il marito francese, anche lui scrittore ma in crisi, e il figlio undicenne, cieco da quando ne aveva 4 per un incidente. L’avvio di una musica assordante, fatta partire dal marito Samuel, fa interrompere in modo un po’ brusco l’intervista. Rimasti soli i genitori, il bambino esce con il cane, ma al ritorno trova il padre morto sulla neve, caduto dall’ultimo piano della casa. Sandra viene ascoltata dagli investigatori e poi mandata a processo per omicidio, non avendo alibi, persone che la possano scagionare, nemmeno il figlio che non ci vede e fa subito confusione alla prima deposizione, complicando la situazione della madre. Vincendo con “Anatomia di una caduta” la Palma d’oro, un po’ a sorpresa all’ultimo festival di Cannes, dove partirono subito le chiacchiere di una nuova vittoria francese e femminile, specialmente dopo il successo di due anni prima con Julia Ducournau (ma tra i due film non c’è paragone: “Titane” perde nettamente il paragone), Justine Triet, che proprio sulla Croisette iniziò a farsi conoscere con il notevole “La battaglia di Solferino” (2013), fonde il dramma familiare con quello giudiziario, ma soprattutto scava in maniera chirurgica le dinamiche tossiche del rapporto tra uomo e donna, mostrando come alla fine il pregiudizio possa determinare spesso l’opinione. Nella costruzione continua di una verità parallela, che evidenzia attraverso ripetuti flashback, come l’ultimo screzio della coppia fosse in realtà il risultato d’un rapporto ormai guastato da tempo, non ultimo la violazione linguistica con la quale Sandra insista a pronunciarsi in inglese, Justine Triet, in un film piuttosto lungo (due ore e mezza), dove la verità è di difficile individuazione, sfoderi ancora una volta l’abilità poco consolatoria di maneggiare le situazioni in modo definitivo, non risparmiando colpi di scena e qualche dettaglio che indirizzi in qualche modo l’accaduto. E ponendo, come si diceva, la centralità della parola (anche negata, come nell’incipit) come riverbero assoluto del dramma, nel quale spiccano il bravo Samuel Thies, molto bravo il giovane Milo Machado Graner e assolutamente fantastica Sandra Hüller. Voto: 7,5.

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 22:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA