Da Kiev a Chieti dopo un lungo e faticoso viaggio, insieme a suo figlio, ma accolta da quella che considera da sempre la sua seconda famiglia. È arrivata sabato mattina Inna insieme al piccolo Nikita, madre e figlio ucraini costretti a lasciare la propria città, la casa, dopo l'invasione militare russa.
L'associazione di volontariato è nata nel 1992 a Casalincontrada quando un gruppo di bambini e bambine, provenienti dalle zone di Chernobyl, furono ospitati dalle famiglie locali per disintossicarsi dall'esposizione alle radiazioni della centrale nucleare. Al termine di quella esperienza, le famiglie ospitanti decisero di formare un'associazione che si prendesse cura dell'infanzia sofferente. In totale furono accolti 1500 minori per smaltire in un ambiente più salubre le radiazioni nucleari.
Oggi un nuovo dramma colpisce la terra ucraina. «Quando sono arrivata a Chieti per la prima volta - racconta Inna - ero una ragazzina e l'ho vissuta con leggerezza, quasi come una piccola vacanza. Questa volta però è diverso spiega la donna ucraina da quando mia madre mia ha svegliato nel cuore della notte per dirmi che l'Ucraina era stata invasa, è iniziato l'inferno». Inna, suo marito e Nikita dopo quattro notti al riparo nei sotterranei del condominio e poi della metropolitana, martedì scorso hanno deciso di lasciare Kiev. Sei ore di viaggio in un treno affollatissimo per arrivare a Leopoli, qui il marito di Inna e papà di Nikita si è dovuto fermare: gli uomini non possono lasciare il paese.
Inna e suo figlio hanno proseguito il loro viaggio in treno e oltrepassato la frontiera per arrivare a Przemyl, in Polonia. «Da li abbiamo preso il primo pullman diretto per l'Italia offerto da volontari, dopo 18 ore eravamo a Conegliano, in Veneto. Dopo diverse ore di attesa altri volontari ci hanno trasportati fino a Firenze e poi con un'auto a Roma dove la nostra famiglia italiana è venuta a prenderci». Inna e Nikita ora stanno bene ma lei è preoccupata. «In Ucraina ho lasciato mio marito, i miei genitori e mio fratello dice - io qui mi sento al sicuro ma loro non lo sono affatto. Vorrei potessero andare via anche loro, a Kiev ormai non si può più vivere».