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Questo caso ha fatto emergere la necessità di regolamentare un settore, quello dei wedding planner, che coinvolge circa 83mila imprese – atelier di abiti da sposa e cerimonia, location, hotel e ristoranti, fiorai, operatori di foto e video, società di catering – con un giro d’affari stimato per circa 15 miliardi di euro. I cosiddetti professionisti che lavorano in Italia sono circa 70mila e si spartiscono il mercato dei matrimoni, quelli dei connazionali e degli stranieri che scelgono le più belle città del Belpaese per il loro sì. A loro è stato deciso di attribuire una certificazione di professionalità per tutelare i futuri sposi dall’Ente Italiano di Normazione (Uni) e dall’Associazione Italiana Wedding Planner, che hanno redatto una specie di disciplinare, un testo che sancisce i requisiti che il professionista deve avere per chiedere e ottenere la certificazione che avrà la durata di 5 anni, e sul cui mantenimento verrà eseguito un controllo annuale. Oltre alle prove di valutazione - due esami scritti e un orale - è necessario avere un titolo di studio almeno di scuola media superiore, aver fatto un percorso formativo nell’ambito della pianificazione d’eventi con almeno 40 crediti pregressi e un aggiornamento di 8 ore. «In Italia, negli ultimi anni, c’è stata una grande confusione riguardo la professione del Wedding planner, figura professionale diffusa dal mondo anglosassone, dove è del tutto naturale rivolgersi per l’organizzazione deproprio matrimonio e rappresenta uno status symbol e la garanzia di un evento esclusivo ed originale. Ha una formazione accademica universitaria», spiega Bianca Trusiani, Presidente del comitato tecnico scientifico del Buy Wedding in Italy e membro Comitato Scientifico osservatorio Italiano DestinationWedding Tourism. LO SCENARIO «Diverso lo scenario del nostro Paese dove, non essendoci un percorso di studi, accademico o universitario, non ha un ruolo definito. Questo penalizza enormemente chi già svolge con competenza questa professione e crea una grande confusione di ruoli. Quindi sono assolutamente favorevole alla regolamentazione di questa professione». Un primo primo passo, questo, a cui seguiranno anche altri, si spera, per livellare i cachet. «C’è una grande spaccatura del mercato, i wedding planner che si occupano del segmento lusso che hanno cachet molto elevati, anche 20mila – 30mila euro, per la progettazione e il coordinamento del wedding day - continua Trusiani - mentre per un matrimonio medio il compenso minimo è tra i 2mila e i 3mila euro». «Normalmente il wedding planner regolare, cioè con ufficio e soprattutto partita iva, fa firmare un contratto di responsabilità ed è assicurato», dichiara la presidente di BuyWedding in Italy
di Veronica Timperi Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino