Coronavirus, coppia italiana in California: «Gli asili nido restano aperti»

Nico e Marianna sono una coppia di ricercatori veronesi. Da qualche anno vivono a Pleasanton, cittadina nell’ampia Bay Area della California: la terra delle grandi...

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Nico e Marianna sono una coppia di ricercatori veronesi. Da qualche anno vivono a Pleasanton, cittadina nell’ampia Bay Area della California: la terra delle grandi opportunità, delle più sofisticate aziende tecnologiche, delle prestigiose università di Stanford e Berkeley è ora alle prese con l’emergenza coronavirus. «Sono arrivate le ordinanze del governatore, ma non si tratta di un lockdown all’italiana, - racconta Marianna – Si può ancora uscire per una passeggiata o per un corsetta, anche perché i vasti spazi di questa zona permettono il distanziamento sociale. Da questo punto di vista il messaggio non è chiaro, così ci sono persone spaventate, mentre altri non si rendono conto del reale problema dell’epidemia».


«Da quel che ho notato, si preoccupano solo gli anziani, - segnala Nico. – I giovani, e con questo intendo le persone sotto i 55 anni, pensano di essere immuni». Un atteggiamento che negli Stati Uniti va a scontrarsi con il sistema sanitario: «Qui è eccellente se puoi pagare. È tutto normalizzato sulla quantità di persone che possono pagare: quindi i posti letto di terapia intensiva, di cui si parla molto in Italia, sono molti meno!», sottolinea ancora Marianna che in questi giorni lavora da casa. «La mia azienda (importante gruppo nel settore della viticoltura, ndr) costringe chi può a lavorare da remoto per rendere gli spazi meno popolati». Un’azione apparentemente positiva, ma che tuttavia non nasconde le preoccupazioni sulla produttività dei dipendenti: «Scuole e università sono chiuse, ma le aziende segnalano che la presenza dei figli a casa non deve essere una scusa per non lavorare agli stessi regimi. D’altronde lo dice anche il Presidente di voler tornare ai regimi normali entro Pasqua». Le aule non sono però chiuse per tutti, asili nido e scuole materne possono restare aperti per supportare quei lavoratori che hanno un’attività essenziale, come rivela Marianna, mamma di una bimba di un anno: «MI sono informata con il dipartimento della salute per capire meglio: non possono esserci gruppi formati da più di 12 bambini per evitare un assembramento, ma dodici è già un numero grande! E poi c’è la questione delle attività essenziali, che genera confusione, come è accaduto in Italia. Cos’è davvero essenziale? Anche la mia società è considerata tale, per cui mi sento con le mani legate: le aziende sanno che i daycare sono aperti, quindi ci devi portare i bambini e lavorare al 100%».

Caterina Carpanè Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino