Legno o acciaio? Il restauro del ponte (distrutto e rinato) spacca Bassano

Legno o acciaio? Il restauro del ponte (distrutto e rinato) spacca Bassano
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BASSANO DEL GRAPPA - Dice l’uno: «I dixe che no va ben quee gabie de fero». Domanda l’altro: «Ma se dopo i e rivestisse coi toeoni de legno, no e vien fora giuste?». Risponde il primo: «Sì, ma xe un onorevoe che ga dito che no xe beo». Conclude il secondo: «Eh, ghe xe e elession». Il dialogo fra due umarell, pensionati che trascorrono le giornate appostati lungo la sponda del Brenta ad osservare il cantiere più discusso del circondario, rende bene il clima che si respira sul Ponte di Bassano. Qui, dove un soldato e la sua ragazza sognavano di darsi la mano («...ed un bacin d’amor»), politici e professionisti menano invece fendenti attorno ai lavori di ripristino e consolidamento del simbolo della città: così, fra interrogazioni parlamentari ed elezioni incombenti, acciaio e legno diventano i protagonisti di quella che alle pendici del Grappa è stata ormai soprannominata «la pontenovela».

LE PUNTATE PRECEDENTI
Breve riassunto delle puntate precedenti. Nel 2014 l’amministrazione comunale di centrosinistra guidata da Riccardo Poletto prende in carico il recupero di quello che da queste parti tutti chiamano “Ponte degli Alpini”, evoluzione di un manufatto le cui prime attestazioni risalgono al tredicesimo secolo, ma che a causa di piene alluvionali e bombardamenti bellici è stato ripetutamente ridisegnato (e quindi ricostruito): nel 1569 da Andrea Palladio, nel 1751 da Bartolomeo Ferracina, nel 1821 da Angelo Casarotti, nel 2015 da Claudio Modena. Nel febbraio del 2016 l’appalto viene assegnato alla Inco di Pergine Valsugana, che in questo modo scalza la Nico Vardanega di Possagno, arrivata prima ma poi esclusa per la mancanza di alcuni requisiti. A settembre il Tar del Veneto riassegna l’opera alla ditta trevigiana. Ma a giugno del 2017 scattano le contestazioni del Comune all’impresa per una serie di inadempimenti. Nel maggio del 2018 il Comune rescinde il contratto e a ottobre riconsegna il cantiere all’azienda trentina.
L’INTERVENTO
Ripartito definitivamente lo scorso 26 novembre, l’intervento è finanziato con 6,7 milioni di euro, variamente ripartiti fra ministero dei Beni Culturali, Unione Europea, Regione, Fondazione Cariverona e Comune di Bassano. Cifre e stemmi campeggiano sul maxi-manifesto che, nel cuore del centro storico, illustra le principali criticità a cui occorre trovare rimedio: rotture, fenomeni di marcescenza, deformazioni, infiltrazioni di acqua. Il progetto prevede in particolare di sostituire i pali di fondazione lignei degradati con degli elementi in cemento armato incamiciati in acciaio inossidabile, mantenendo però il rovere per la parte che emerge dall’alveo. Il tutto dovrebbe concludersi entro il 25 marzo 2021.
IL PANDEMONIO
«Ma sinceramente spero proprio di finire prima, perché non ne posso più di tutte queste polemiche...», si sfoga Floriano Perini, responsabile del cantiere in cui attualmente lavorano nove operai, alludendo al pandemonio scatenato dall’inserimento dell’inox. «È tutto previsto dal progetto del professor Modena, che è stato approvato dal ministero», puntualizza il geometra. «Appunto, è proprio quel piano ad essere sbagliato in partenza», ribatte l’architetto Antonio Guglielmini, capofila dei contestatori: «Non sono in linea di principio contrario all’utilizzo di materiali o tecnologie moderni, purché si rispetti la storia e l’importanza del bene. Ma che razza di restauro è mai questo, quando tutto ciò che esisteva da centinaia d’anni è stato spazzato via a colpi di motosega? Dall’impalcato in giù è tutto nuovo di zecca, fondazioni in pali trivellati, plinti in calcestruzzo armato, travi reticolari in acciaio inox luccicanti come uno specchio, tiranti ad alta resistenza, colonne, travi e saette in legno di rovere fresco e perfettamente piallato a spigolo vivo. Trattare così Palladio, è come suonare un brano di Chopin con arrangiamenti rap: un falso storico». 
Va di immagini forti pure Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia, chiedendo l’intervento del ministro Alberto Bonisoli: «È come se, dovendo rifare il Colosseo, avessero costruito una struttura di acciaio e i marmi diventassero un semplice rivestimento, anzi un travestimento. La sinistra al governo è peggio degli unni».
LA DIFESA
Il vicesindaco Roberto Campagnolo, che da assessore ai Lavori Pubblici è il titolare del dossier Ponte, non ci sta: «Queste critiche sono pretestuose. L’acciaio è l’elemento qualificante di un progetto autorizzato dal Consiglio superiore per i Beni Culturali e dalla Soprintendenza, che ci permette un duplice vantaggio: rinforzare le fondamenta e facilitare le manutenzioni, in quanto basterà togliere il singolo pezzo senza spendere ogni volta 300.000 euro per realizzare la diga che sbarra il fiume. Cosa dovremmo fare, lasciare che i pali marciti dal bagnasciuga facciano crollare tutto? L’inox sta sotto e non si vede, nella parte superiore è tutto rovere coerente con quello esistente. E comunque bisogna smetterla di citare a vanvera Palladio, che avrebbe voluto farlo in pietra il suo gioiello, altro che in legno».

Alla grapperia Nardini, il banconiere Giuba non ha dubbi: «Sono tutte schermaglie elettorali, la maggioranza dei bassanesi è solo contenta del fatto che finalmente i lavori procedono speditamente». Un gruppetto di avventori locali brinda con il celebre Mezzoemezzo: una parte di liquore e una parte di seltz, con scorzetta di limone, «in onore al Ponte, che per noi è tutto». È con questo spirito che oggi la commissione Cultura della Camera esaminerà in sede referente la proposta di legge di cui i leghisti veneti Germano Racchella e Ketty Fogliani sono, rispettivamente, primo firmatario e relatrice. Un solo articolo: «Il ponte sul Brenta in Bassano del Grappa, nella provincia di Vicenza, detto “Ponte Vecchio di Bassano”, è dichiarato monumento nazionale». Chissà se almeno su questo saranno tutti d’accordo.
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Il Gazzettino