Un caso emblematico della difficoltà, per un'impresa privata, di lavorare per la committenza pubblica. È quello raccontato dalla sentenza, depositata nei giorni...
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LA VICENDA
Già tempo fa le problematiche connesse a questo tipo di appalti erano diventate di dominio pubblico. Nel 2013 una decina di meccanici e carrozzieri vicentini, che si erano suddivisi la copertura del territorio provinciale nell'ambito della gara bandita dal Viminale, avevano lamentato la difficoltà di veder saldati i propri crediti (si parlava di circa 200mila euro per azienda) da parte di quello stesso Stato che però pretendeva la massima puntualità negli adempimenti erariali e contributivi. Di quel gruppo faceva parte anche la carrozzeria Sperotto, che per un determinato periodo avanzava 25.965,07 euro, a titolo di corrispettivo per il deposito dei mezzi che le erano stati affidati dalle autorità di pubblica sicurezza, peraltro ridotto in seguito ad una disposizione della legge Finanziaria poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Nel tentativo di accelerare i tempi, fin dal 2003 l'avvocato Giuseppe Nicola Altieri aveva chiesto e ottenuto l'emissione di 58 decreti ingiuntivi, tanti quanti i singoli episodi di custodia. Il ministero si era opposto, sostenendo che il frazionamento del credito operato dall'impresa fosse «contrario alla regola generale di correttezza e buona fede» e si risolvesse in un «abuso del diritto». Ma il giudice di pace di Thiene aveva rigettato le opposizioni, affermando che si trattava di «plurimi rapporti contrattuali scaturiti da distinti contratti di deposito». A quel punto l'Avvocatura generale dello Stato aveva fatto appello al Tribunale di Venezia, che l'aveva accolto, stabilendo che «la prestazione di custodia non è prestazione isolata, dedotta di volta in volta in singoli contratti di deposito, ma attuazione di un'unica convenzione-quadro». Secondo i giudici lagunari, questo principio non invalidava però la liquidazione del credito, ma si limitava ad avere effetto sulla valutazione dell'onere delle spese di lite, da considerare unico «come se unico fosse stato il procedimento fin dall'origine».
LA SUPREMA CORTE
Una tesi che alla fine è stata ribadita anche dalla Suprema Corte. Dunque a ristoro delle spese legali e giudiziarie la ditta Sperotto dovrà accontentarsi di 1.355 euro in tutto, non moltiplicati per ciascuna delle 58 procedure avviate. E, visto che l'impugnazione è stata rigettata, la carrozzeria sarà tenuta anche a versare il doppio del cosiddetto contributo unificato dovuto per il ricorso. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino