"Quando i tedeschi non sapevano nuotare" è un film, di Elisabetta

"Quando i tedeschi non sapevano nuotare" è un film, di Elisabetta
"Quando i tedeschi non sapevano nuotare" è un film, di Elisabetta Sgarbi, che ha come voce narrante quella delle vite semplici, persone che in Polesine e nel Basso Ferrarese...

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"Quando i tedeschi non sapevano nuotare" è un film, di Elisabetta Sgarbi, che ha come voce narrante quella delle vite semplici, persone che in Polesine e nel Basso Ferrarese hanno vissuto in prima persona la Resistenza, ma la cui vicende sono sempre state sottovalutate dalla storiografia.

«Il nostro territorio è stato "estromesso" perchè la storia non è semplicemente l'accadimento dei fatti, ma soprattutto il racconto di essi - spiega Elisabetta Sgarbi -. Il racconto dei fatti è, come ogni racconto, un certo sguardo, che esclude, volente o meno, altri racconti. Per questo la storia non è mai solo passato, ma bisogna sempre ritornarci su. Non è questione di revisionismo, ma di approfondimento, scoperta e riscoperta del passato». Il fiume Po è stato protagonista, sin dal titolo, ed è diventato «difesa e tomba per molti tedeschi».
Il ruolo delle donne nella resistenza sul nostro territorio era importante? Alcuni episodi particolari contenuti nel film che riguardano il Polesine, Rovigo.
«In generale il ruolo delle donne è stato centrale nella Resistenza, come ampiamente riconosciuto dalla storiografia ufficiale. Lo è stato, in particolar modo, in territori dove era molto difficile nascondersi, come in Polesine. L'episodio più rilevante in cui mi sono imbattuta è, senza dubbio, quello della presa del Comune di Bondeno, da parte di centinaia di donne, il 18 febbraio '45. Una rivolta in parte spontanea, in parte ordita dal Cnl locale. Hanno occupato il Comune e bruciato i registri di leva».
Quanto c'è di realmente accaduto nel film e quanto di romanzato, di inventato, non nella storia dei fatti storici, ma piuttosto nelle vicende sentimentali dei personaggi?
«Tutto vero, sono testimonianze. La fiction entra in un altro film, "Racconti d'amore"».
C'è qualche personaggio che spicca oppure sono tutti ugualmente protagonisti, ognuno alla propria maniera? «La figura di Emilio Bonatti e quella di Mimì Sangiorgio spiccano: per umanità, vigore, moralità. Ne ho un ricordo molto vivo. Mi è rimasto impresso il loro disagio per il tempo presente, nei confronti della vita politica attuale. E poi mio padre, di Stienta, paese anche di Bonatti, che racconta di un rastrellamento dal Po all'Adige. I suoi racconti, tra l'altro vivi anche in un libro di memorie di cui molto si è parlato, "Lungo l'argine del tempo", edito da Skira, sono stati per me fonte importante ispirazione».

Il film è un documento per non dimenticare, un esempio di coraggio, un modo per leggere la storia in maniera diversa, dalla parte di chi si è sacrificato in silenzio? «Il messaggio è: il futuro non è solo il futuro, ma anche la comprensione e la custodia del passato. Ci sono storie e persone che vivono accanto e dentro di noi, ma noi non lo sappiamo».
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Il Gazzettino