Il fragore del fulmine si è spento per sempre. Bolt è sceso dall'olimpo degli immortali, si è tolto il costume da supereroe e ha svelato al mondo la sua...
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Il mondo c'è rimasto male, e peggio ancora lo star system e i padroni del vapore dell'atletica che volevano a ogni costo un epilogo degno del mito. Non solo non l'hanno ottenuto ma contrariamente a quanto speravano, nessuno ha raccolto l'eredità del Fenomeno. Le speranze erano rivolte al sudafricano Wayde Van Niekerk, ragazzo perbene e dai muscoli non pompati, allenato da una attempata signora di 75 anni. Tentava l'accoppiata 200-400, riuscita solo a Michael Johnson. Ce l'ha fatta nei 400, non sulla distanza più corta.
Non è detto che la mancanza del lieto fine debba per forza avere un finale triste. La vulnerabilità di Bolt e Van Niekerk ad esempio dà più valore e credibilità alle loro imprese in un mondo dai troppi campioni senza valore che ricorrono al doping. E l'abbraccio riconciliatore tra il giamaicano e Gatlin non è un messaggio meno potente sul piano educativo e dell'immagine di un allegro e strafottente balletto replicato dopo ogni trionfo. Peccato che alla Iaaf pare interessino solo gli show e le icone mediatiche, nell'era Bolt utili ad allontanare l'odore delle farmacie e a coprire gli scandali che hanno scosso l'atletica. Ma ora l'atletica senza supereroi si ritrova sola di fronte ai propri guai. Adesso è lei a non poter sbagliare. E forse non è un male.
Il Gazzettino