Vivere e non solo esistere: non è solo il desiderio che si scatena in Guglielmo, borghesuccio titolare di un negozio di paramenti sacri, ma anche di Carlo, regista il cui cinema...
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Di Verdone è sicuramente il sessantenne Guglielmo un po' baciapile, da venticinque anni sposato ma improvvisamente lasciato dalla moglie (Lucrezia Lante Della Rovere) per una donna, bigotto per necessità, e sostanzialmente solo. Eppure Guglielmo avrebbe un'anima meno austera, più ribelle, di un anticonformismo covato e represso in seno che non aspetta altro che di essere risvegliato.
E a scuoterlo dal suo torpore esistenziale è Luna, borgatara all'ennesima potenza, ignorante al cubo (per lei conoscere la parola hamburger vuol dire sapere l'inglese), pantaloni di pelle e lustrini, che entra come un elefante nel negozio di paramenti sacri e nella vita di Guglielmo.
Il tocco jeegrobot fa implodere psichedelicamente la mano che non è mai stata troppo leggera di Verdone, e ci trascina tra emergenze ginecologiche e venete ubriacone (si sa) in un territorio che non è nemmeno più quello del grottesco, ma delle zone oscure della comicità dei cinepanettoni, se non del ridicolo. Verdone ha spesso saputo congegnare personaggi che pur votati all'eccesso, anzi forse proprio per questo, costruivano la satira di costume, la galleria dei mostri che popolano il nostro Paese. Qui il girovagare tra cardinali e guardie svizzere, coatti e donne sole, non porta da nessuna parte, salvandosi magari solo in qualche isolato momento, in una battuta, in uno sguardo. Gli abiti che il comico stavolta ha messo gli sono troppo larghi per i suoi modelli, e sembra capirlo in un finale in cui la follia diventa accomodante tranquillità borghese.
Giuseppe Ghigi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino