Fra le trasgressioni del Carnevale che proprio in questi giorni, a Venezia, entra nel suo periodo più caldo -, immancabile quella legata alla dolcezza. Che, del resto, è il...
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Così, con perfetto tempismo, il mitico Caffè Florian assieme al dirimpettaio Quadri uno dei caffè più famosi al mondo (e, dal 1720, in Piazza San Marco, fra i luoghi iconici del Carnevale) - ha iniziato ieri una lunga stagione culturale-artistica nell'anno di Biennale Arte, presentando il libro: I Dolci Veneziani del Caffè Florian, racconto per immagini con testi di Stefano Stipitivich, storico curatore delle collezioni d'arte del Caffè, e ricette di Cristiano Strozzi, chef executive pâtissier, illustrazioni di Adrian Tuchel e foto di Marco Tortato. Libro non di sole ricette, ma anche di storie, racconti e tanto altro, gesto sincero - e non retorico - di amore per Venezia. Frittelle e galani, ma anche la rustica e buonissima pinza e le golosissime creme fritte. E poi baicoli e San Martino, Fave dei morti e Caramei, Croccante di mandorle, Biscotti speziati e zabaione (o zabaion), Tiramisù e Buranei (Esse e Bussolai dolci).
E ancora racconti... Partendo dai Baicoli, la cui ricetta deriva probabilmente da una sorta di galletta distribuita a bordo delle navi della Repubblica nel rancio per la ciurma, e che si conservava per mesi. Mitica la scritta sulle scatole dei Baicoli Colussi: No gh'è a sto mondo, no, più bel biscoto, più fin, più dolse, più lisiero e san, par mogiar ne la cìcara o nel goto, del baìcolo nostro venessian.
Poi ecco i Buranei (bussolai), preparati dalle mogli dei pescatori e dei marinai dell'isola e che probabilmente in origine non erano dolci. Dovevano servire da scorta alimentare e li troviamo citati nel primo atto della commedia di Carlo Goldoni La buona moglie del 1749, abbinati in questo caso al vino Zibibbo.
Ma, certo, non esiste Carnevale senza fritoe. La tradizione - si legge nel libro - vuole che l'impasto e il modo di friggerle sia stato importato dalla Cina. Sono il dolce delle feste carnevalesche - dei ricchi e del popolo - già nel Rinascimento, e diventano nel 700 il dolce della Repubblica di San Marco. La ricetta è della seconda metà del Trecento e rappresenta la più antica testimonianza enogastronomica veneziana, custodita nella Biblioteca Nazionale Casanatense di Roma. La fritoea era prodotta e venduta in baracche di legno e servita su piatti di ottone o peltro, col simbolo del leone marciano o della Vergine Maria, e i venditori di frittelle costituirono una corporazione già nel Seicento (Arte dei fritoeri). Carlo Goldoni nella sua commedia Il Campiello, fa parlare Orsola, una fritolera, e in un suo quadro Pietro Longhi dipinge La venditrice di fritoe.
E, subito dopo, ecco i Galani la cui origine si deve agli antichi romani che preparavano dolci molto simili, fritti nel grasso di maiale e addolciti con melassa o miele. Dolce che ogni regione italiana chiama in modo diverso: frappe, zeppe, chiacchiere I galani veneziani si legge - sono sottili e friabili, in forma di nastro, e sono diversi dai crostoli, preparati invece nell'entroterra veneto, rettangolari e di pasta più spessa.
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Il Gazzettino