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segue dalla prima pagina(...) Quando queste sono troppo alte, quindi, diminuire le imposte aumenterebbe il gettito fiscale. Così dovrebbe funzionare anche per la libertà di...

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(...) Quando queste sono troppo alte, quindi, diminuire le imposte aumenterebbe il gettito fiscale. Così dovrebbe funzionare anche per la libertà di informazione. Senza libertà di informazione, nessuno ha interesse a produrre notizie e contenuti editoriali; la facilità (ed economicità) con cui le notizie sono diffuse aumenta dunque anche la produzione di questi contenuti. A un certo punto, però, emerge il paradosso: se tutti i contenuti venissero diffusi gratuitamente, chiunque potrebbe usufruirne. E questo apparentemente è un bene. Ma se a causa di ciò la redditività di questo servizio diventa troppo bassa, nessuno sarà più disposto a produrlo. E senza contenuti, è evidente, sparisce la stessa libertà di informazione.

Il governo australiano non ha quindi garantito una rendita di posizione agli editori, bensì proprio il contrario. La nuova legge garantisce un diritto universale e tutela, in primo luogo, proprio i lettori e gli elettori. Ai cortocircuiti tra economia e diritto del resto siamo abituati. Si prenda come ulteriore esempio il recente dibattito sulla protezione dei brevetti, o più in generale della proprietà intellettuale, applicata ai vaccini. La lotta al potere monopolistico è necessaria, ma espropriare la redditività di importanti investimenti può avere se lo ha - un effetto positivo solo nel breve periodo, mentre nel medio e lungo periodo può distruggere aziende e, per effetto reputazionale, minare la propensione a nuove ricerche.
È inutile nasconderlo: l'editoria della carta stampata non naviga di certo in acque serene. La concorrenza di altri attori è troppo forte. Ed è troppo forte perché sleale. Ed è sleale perché quelle che online si spacciano proditoriamente come aziende dell'informazione sono in realtà aziende che si occupano solo di comunicazione. Aziende che mettono la forma in risalto sulla sostanza. E in un mondo dove velocità e brevità la fanno da padrone, la sfida per la carta stampata è ormai al limite dell'eroico. Un tweet e un post non informano e non veicolano alcun contenuto intrinseco. Peraltro, quando il contenuto c'è, è un contenuto sottratto ad altri. Rubato, verrebbe da dire. Anche i dibattiti televisivi hanno ormai perso il ruolo informativo di un tempo. Salvo rare eccezioni, sono diventati vetrine di vanità (nella migliore delle ipotesi) e di volgarità (nella peggiore). La gratuità è un'illusione.

E dal 2014, finalmente, lo sancisce anche la Costituzione italiana. L'equilibrio di bilancio (articolo 81) va rispettato. I diritti costano e nulla è gratis. Anche il diritto all'informazione non può essere garantito se chi produce informazione non viene retribuito. E se non è il lettore a pagare per il servizio, allora sarà qualcun altro a farlo: uno sponsor, magari. O un governo. Nessuna delle alternative garantisce appieno il diritto dei lettori a essere liberamente informati. Se non è il lettore a pagare per il servizio, non è il lettore ad essere il padrone di quel servizio, ma qualcun altro. Anche la Gran Bretagna sembra seguire le orme del governo australiano. Stranamente, più timida appare l'Unione Europea. Contro i colossi del web questa timidezza non ci stupisce, purtroppo. Basta ricordare le difficoltà ricorrenti nel dibattito sulla web tax o sulla capacità di fare pagare le giuste imposte alle multinazionali della rete. Un giro di vite dell'Unione, su tutti questi temi, avrebbe il merito non solo di migliorarne il bilancio - cosa non secondaria in questo periodo. Ma anche e soprattutto di rimetterla sul sentiero che ha prescelto decenni fa: quello di garantire una sempre maggiore libertà ai propri cittadini.
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Il Gazzettino