Respinta la voglia di isolamento

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VIENNA - L'Austria ha votato e, al termine di una corsa a ostacoli, in due tornate, senza precedenti nella storia del Paese, ha eletto presidente Alexander Van der Bellen, il candidato dei Verdi che al primo turno era arrivato secondo dietro il candidato dell'estrema destra, Norbert Hofer. Sarà il primo presidente Verde del Paese. Dopo un testa a testa serrato, e uno scrutinio al cardiopalma che ha reso necessario spulciare fino all'ultima scheda per essere sicuri del vincitore, il ministero degli interni Wolfgang Sobotka ha annunciato poco prima delle 17 ieri il risultato: 50,3% contro 49,7%, un vantaggio per Van der Bellen di soli 31.026 voti. Anche questo uno scarto minimo record. Fino all'ultimo sembrava invece che avrebbe vinto Hofer. Scenario che preoccupava molto anche all'estero. Grande sollievo quindi, anche in Italia, nelle reazioni in tutta Europa in un momento in cui il continente sembra contagiato euroscetticismo. Oltre alla vittoria di misura del candidato Verde, il risultato mostra in controluce un altro fatto incontrovertibile: il Paese è diviso, spaccato in due metà contrapposte. Compito principale del nuovo capo dello Stato sarà proprio ricucire lo strappo, cicatrizzare la ferita. E non sarà facile. Ne va della pace sociale e del futuro del Paese. E in ultima istanza anche dell'Europa. L'Austria non è infatti il solo paese nell'Ue - senza neanche scomodare Polonia, Ungheria e gli altri del Gruppo di Visegrad - ad essere animato da forti tensioni centrifughe: populismo, ripiegamento nazionale, pulsioni xenofobe, disincanto politico, allergia verso l'Europa, sfiducia verso i governanti di casa e i burocrati a Bruxelles, paure di ogni genere, reali o indotte da false promesse. Dall'abilità con cui il nuovo presidente Van der Bellen e il nuovo cancelliere Christian Kern - sapranno, se ci riusciranno, risanare questa ferita dipende la stabilità del Paese e anche la sopravvivenza di un modello politico, quello dei partiti tradizionali, che rischia di scomparire e che proprio in Austria ha mostrato in queste settimane di essere allo stremo. Dal '45, tutta la storia della seconda Repubblica è un annuario di alternanza di grandi coalizioni fra socialdemocratici (Spö) e popolari (Övp). E anche un manuale "Cencelli" versione alpina, con lottizzazione del potere, spartizione di cariche, nomine, poltrone capillare dai vertici ai gangli periferici dell'apparato statale e non solo. La gente è stufa e al voto lo ha fatto capire. Il terremoto verificatosi fra il primo e secondo turno delle presidenziali - con le dimissioni del cancelliere e leader Spö, Werner Faymann, e la sostituzione con Kern - ha scongiurato il peggio, ma non è detto. Quel che serve ora sono risultati concreti: un governo che lavori, faccia le riforme necessarie, risolva i problemi reali, la gente è stanca delle chiacchiere e delle facce di sempre. Il potere del presidente in Austria, anche in virtù dell'elezione diretta, è ampio e gli permette anche di dimettere governo e ministri (prerogativa però mai messa in atto finora). Il cancelliere, pur non avendo il "potere di indirizzo" di quello tedesco, è comunque l'uomo al comando del timone: ci si aspetta che guidi.
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Il Gazzettino