Morte e mistero del "bellunese" alla Guerra Santa

Morte e mistero del "bellunese" alla Guerra Santa
BELLUNO - Era la fine del 2013 quando l'imbianchino di Longarone, Ismar Mesinovich, 36 anni, di origine bosniaca, partì per la Siria portando con sè il figlioletto di tre anni...

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BELLUNO - Era la fine del 2013 quando l'imbianchino di Longarone, Ismar Mesinovich, 36 anni, di origine bosniaca, partì per la Siria portando con sè il figlioletto di tre anni Ismail David. Con lui anche un amico residente in comune di Chies d'Alpago, Munifer Karamaleski, 26enne, di origine macedone. Subito dopo, dei tre, si persero le tracce. L'unica certezza, la morte di Mesinovich avvenuta il 4 gennaio del 2014 durante una battaglia ad Aleppo. Resta ancora un mistero la sorte del piccolo Ismail, che inizialmente si pensava fosse stato affidato a dei parenti in Bosnia, e di Karamaleski. L'ultimo contatto con quest'ultimo, anzi, con la sua utenza telefonica, sarebbe avvenuto il 21 dicembre 2014, attraverso la madre del piccolo, Lidia Solano Herrera. «Siamo ponti a ridarti tuo figlio - avrebbe scritto Karamaleski via sms alla donna -, ma tu devi venire qua, in Siria, perché il bambino non può vivere in un paese di kafiri», ovvero di infedeli. Un segnale che il macedone sarebbe stato ancora vivo nonostante, all'epoca, fosse stato dato per morto già qualche mese prima.

Sulla sparizione del piccolo aveva ampiamente indagato la procura di Belluno, archiviando poi il fascicolo. L'accusa di sottrazione di minore a carico del padre era caduta con la sua morte, ma, soprattutto, sarebbe emerso che Ismail lasciò Longarone con l'assenso della madre. Il caso, però, resta drammaticamente aperto. Così come resta fitto il mistero su Karamaleski i cui parenti vivono ancora in Alpago.
La storia dei combattenti di Allah, ben radicati nel territorio bellunese, entrambi frequentanti la moschea di Ponte nelle Alpi, si intreccia con altri canali jihadisti del Pordenonese per allacciarsi alle grandi cellule mediorentali del terrore.
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Il Gazzettino