Luci mie traditrici al Malibran È uno Sciarrino cinematografico

Luci mie traditrici al Malibran È uno Sciarrino cinematografico
LA CRITICALa dimensione raccolta del Teatro Malibran si addice particolarmente alla rappresentazione di Luci mie traditrici, che dalla sua prima di oltre vent'anni fa è la più...

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LA CRITICA
La dimensione raccolta del Teatro Malibran si addice particolarmente alla rappresentazione di Luci mie traditrici, che dalla sua prima di oltre vent'anni fa è la più eseguita fra le opere teatrali di Salvatore Sciarrino e approda a Venezia in un nuovo allestimento che convince pienamente. La vicenda prende le mosse dalla tragedia secentesca Il tradimento per l'onore del veneziano Francesco Stramboli, ispirato a sua volta dal delitto d'onore commesso da Carlo Gesualdo da Venosa sommo polifonista della seconda metà del Cinquecento che uccise moglie e amante vivendo poi nel rimorso il resto della sua esistenza. Nel lavoro sciarriniano ogni riferimento alla fonte primaria si sublima, i personaggi cambiano nome diventando il duca e la duchessa Malaspina mentre l'amante che giunge improvviso è semplicemente l'Ospite; a loro si aggiunge il Servo, innamorato della duchessa e delatore del tradimento. Tutto si compie nell'arco di una giornata, in una successione di scene chiuse intervallate da intermezzi che nascono dalla rielaborazione dell'elegia di Claude Le Jeune che, a sipario chiuso, introduce al dramma. Un linguaggio cinematografico fatto di frasi ripetute e suoni spezzati, con l'orchestra di fiati e percussioni che suggerisce senza descrivere e il canto sul libretto coltissimo dello stesso Sciarrino lontano dagli stilemi operistici a richiamare la monodia gregoriana.

EVENTI INEVITABILI
È una Commedia Morale quella a cui si assiste, ove ciò che accade è semplicemente inevitabile, come inevitabili ne sono le conseguenze e il congedo a cinque voci Distendi la fronte, composto per la ripresa veneziana, ne è il sigillo. La regia di Valentino Villa concentra l'azione, grazie all'impianto scenico efficace e straniante di Massimo Checchetto, in una casa diroccata, con le piante a prendere il sopravvento anche all'interno e i cui ambienti gelidi di cemento si animano di particolari rosso sangue. Il gesto teatrale è rarefatto, espressionista, con i protagonisti che non si toccano mai se non quando il Malaspina racchiuderà in un abbraccio mortale prima l'Ospite e poi la Duchessa. Le luci perfette di Fabio Barettin illuminano per punti lasciando in ombra il resto e affidandolo all'immaginazione dello spettatore, mentre i costumi di Carlos Tieppo sono sobriamente sofisticati. La direzione di Tito Ceccherini è asciutta nelle sonorità ed allo stesso tempo rigogliosa nelle scelte dinamiche. Ottima la compagnia di canto con Otto Katzameier a dare voce e corpo ad un Malaspina lacerato da mille fragilità eppure lucidamente determinato nella sua vendetta. Accanto a lui la Malaspina, inconsapevole fino all'ultimo del proprio destino, di Wioletta Hebrowska, dalla voce sontuosa e bella come una diva anni Cinquanta; Carlo Vistoli, controtenore fra i più interessanti della nuova generazione, è Ospite ricco nella vocalità e dalla recitazione sempre convincente. Completano il cast il Servo del più che bravo Leonardo Cortellazzi e la Voce dall'interno dell'eccellente Livia Rado. Pubblico attento e meritato successo per tutti.

Alessandro Cammarano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino