LA TESTIMONIANZA SILEA «Tutti sapevano quello che stava succedendo e nessuno

LA TESTIMONIANZA SILEA «Tutti sapevano quello che stava succedendo e nessuno
LA TESTIMONIANZASILEA «Tutti sapevano quello che stava succedendo e nessuno ha fatto niente». Sono parole cariche di rabbia e dolore quelle pronunciate domenica mattina dalle...

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LA TESTIMONIANZA
SILEA «Tutti sapevano quello che stava succedendo e nessuno ha fatto niente». Sono parole cariche di rabbia e dolore quelle pronunciate domenica mattina dalle figlie di Paolo Tamai. Uno sfogo del tutto comprensibile. Di fronte al lenzuolo bianco che copriva il corpo del padre ormai esanime, ucciso dal suocero con il quale litigava da decenni e di cui tutti ora dicono di aver saputo, Jessica e Laura si sono sentite cascare il mondo addosso, straziate da una tragedia che, se fosse intervenuto qualcuno prima, sono convinte si sarebbe potuta evitare.

LA SOLITUDINE
Eppure chi prestava più frequentemente assistenza all'anziano assicura di non aver percepito alcun rischio. «Mio zio non è mai stato un violento. Aveva un carattere difficile, questo si, ma era anche solare e simpatico. Avessi avuto il minimo sospetto che potesse arrivare a tanto sarei subito intervenuta». A parlare è la nipote Mirca Amendola, figlia della cognata di Padovan, che una volta a settimana faceva visita al pensionato. «Mio zio era un uomo molto anziano e solo, che aveva interrotto ogni rapporto con la figlia e con il genero, nonostante abitassero gli uni accanto all'altro». A volte Giovanni Padovan di quei dissidi ne parlava anche con lei, ma Mirca cercava sempre di distoglierlo da quei pensieri, di parlare d'altro. «Quando parlava del genero io cercavo di contenerlo e di cambiare discorso - spiega Mirca -. Ma non è vero che Giovanni era una persona litigiosa, tutt'altro. È simpatico, disponibile, tanto che l'ultima volta che siamo andati in ospedale tutti si ricordavano di lui, perchè aveva lasciato un ottima impressione, e con i suoi modi aveva divertito medici e infermieri».
L'ETA'
Padovan, nonostante l'età, viveva insomma la sua vita attraversando le difficoltà di ogni pensionato che raggiunge l'età più avanzata. «L'assistenza che gli dava il Comune sui pasti era legata più a una questione di sicurezza che ad altro: mettersi ai fornelli, oltre al fatto che cucinava sempre le stesse cose, poteva essere pericoloso - spiega la nipote Marica -. Poi ovviamente, come succede per gli anziani, era diventato sempre più puntiglioso e, su certi aspetto, anche duro. A volte si indispettiva anche con me, ma non ha mai mostrato atteggiamenti violenti».
LE MEDIAZIONI

Tentativi di conciliazioni tra suocero e genero, nel passato, ce ne sarebbero stati. «E ultimamente le cose sembravano andare meglio - spiega Marica -. Io però cercavo di non intromettermi in questa situazione, tant'è che ho visto poche volte sia Paolo che la moglie. Giovanni però era addolorato per questa condizione. Gli dispiaceva soprattutto non avere più rapporti con la figlia. So che un giorno lei ha cercato di parlargli ma lui non aveva l'apparecchio acustico all'orecchio, e non l'ha sentita». L'ex muratore dal cuore montanaro, originario di Vittorio Veneto, non avrebbe mai confidato intenzioni minacciose nei confronti del genero. «Non sapevo nemmeno avesse ancora il fucile. Sapevo che era stato cacciatore, ma quella doppietta non girava di certo per casa». «Solo lui - aggiunge la nipote - sa quello che si sono detti domenica mattina, ma cosa l'abbia fatto scattare, cosa fosse il motivo specifico del contendere, questo non lo so proprio. L'ultima volta che l'ho visto? Venerdì siamo andati assieme a fare i prelievi del sangue. L'ho visto del tutto sereno e tranquillo. Oggi (ieri per chi legge, ndr), ci saremmo dovuti rivedere: mi aveva chiesto se lo aiutavo a tagliare l'erba».
Alberto Beltrame
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino