LA STORIA TREVISO «Mi disse che in Italia avrei potuto completare gli studi

LA STORIA TREVISO «Mi disse che in Italia avrei potuto completare gli studi
LA STORIATREVISO «Mi disse che in Italia avrei potuto completare gli studi in lingue straniere, che avrei avuto una vita migliore che nel mio paese. Diceva di amarmi, ma era un...

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LA STORIA
TREVISO «Mi disse che in Italia avrei potuto completare gli studi in lingue straniere, che avrei avuto una vita migliore che nel mio paese. Diceva di amarmi, ma era un mostro». Sabrina (il nome non è quello reale) aveva 24 anni quando il marito, marocchino come lei, l'ha portata in Italia promettendole amore e opportunità. Ma appena arrivata nel Trevigiano è stata trattata come una prigioniera: serva della famiglia di lui, costretta ad essere sempre a disposizione della suocera e dei cognati coi quali conviveva. Subendo soprusi di ogni tipo. «Ma dalla denuncia al momento in cui io e mio figlio siamo stati portati via, in una struttura protetta, sono passati troppi giorni». Se anche a Sabrina fosse stata applicata la corsia preferenziale delle indagini sprint, cuore del provvedimento di legge varato nell'agosto scorso denominato codice rosso, la violenza, fisica e psicologica, subita anche dai parenti dell'ex marito, avrebbero potuto essere fermata prima.

LE PROMESSE TRADITE
Sabrina parla tre lingue oltre all'arabo e in Italia avrebbe voluto perfezionare le sue conoscenze. «Per fare la traduttrice o l'interprete - spiega -, invece all'università non ci sono mai andata. Lui mi ha tradito: mi ha obbligato a rimanere in casa, mi ha proibito di tornare a studiare. Non voleva che incontrassi altre persone, non voleva che vestissi all'occidentale come ero abituata a fare in Marocco. Mi aveva promesso una casa e quello in cui ho vissuto per mesi era un tugurio senza riscaldamento». «Mi ha picchiata e mi ha stuprata - accusa la donna - al termine della gravidanza non volevo avere rapporti ma lui mi costringeva ad averli». Poi il coraggio di denunciare.
LA DENUNCIA

Una sera di due anni fa la giovane si è presentata al Pronto Soccorso di Montebelluna. Ci è arrivata con il figlioletto di neppure un mese in braccio, sulla faccia i lividi delle sberle ricevute dall'uomo. «Per un attimo ho esitato - racconta - poi mi sono detta che quella era l'unica possibilità di mettere fine alla mia sofferenza e ho raccontato tutto». «Alle donne dico: siate coraggiose e non abbiate paura. A volte è difficile puntare il dito contro il padre dei tuoi figli ma che padre può essere uno che ti picchia, che ti umilia, che ti violenta il corpo e anche l'anima? Un uomo così non potrà mai essere un buon padre. Bisogna denunciare, non guardarsi indietro. Lo si deve fare per i nostri figli ma anche per noi stesse». Ora l'uomo è a processo a Treviso. Tra i testi dell'accusa ci sono anche i medici del pronto soccorso di Montebelluna. Sabrina è ritornata in Marocco con il figlio. Lavora ed è tornata a studiare. Soprattutto è tornata a essere felice.
De.Bar
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Il Gazzettino