La prima Baruffa Chiozzotta»

La prima Baruffa Chiozzotta»
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LA STORIA
L'eccezione conferma la regola. La prima baruffa chiozzotta ufficialmente documentata e trascritta in latino risale a ben 729 anni or sono. Una vicenda di lite tra dirimpettai che risale, quindi, alla notte dei tempi. Protagonisti Pietro di Chioggia e un altro Pietro d'origine forestiera, definito pollanus. Termine di derivazione francese col quale venivano indicati i meticci in modo dispregiativo. I due finirono davanti al giudice per tentato omicidio. Al culmine di un alterco, l'uomo d'origine forestiera scagliò un acuminato forcone contro il chioggiotto. Questi, eccedendo i limiti della reazione legittima, raccattò l'arnese da terra per scagliarlo a sua volta contro Pollanus. Il fatto accadde probabilmente dinanzi ad un certo numero di spettatori che, si presume, sarebbero immediatamente intervenuti per dividere gli scalmanati contendenti. La lite, fortunatamente conclusasi senza morti e feriti, è descritta nel verbale di un'udienza penale celebrata tra il 1290 ed il 1291, dinanzi al podestà di Torcello, Domenico Viglari.

CRONACA DEI TEMPI
Il documento è conservato nell'archivio storico della biblioteca Marciana di Venezia. Se ne è imbattuto, quasi per caso, lo storico chioggiotto Luciano Bellemo, curatore del Museo del Campanile di Sant'Andrea nella città clodiense. Lo studioso, venuto al corrente dell'esistenza dell'atto processuale nel corso della lettura di un libro, conservato nella biblioteca dell'Università di Ca' Foscari, si è messo alla ricerca dell'antico manoscritto. Un lavoro certosino che che ha dato i risultati sperati. Così, dopo aver scovato l'antico testo, Bellemo lo ha ben presto tradotto dal maccheronico latino medievale, tipico degli atti giudiziari dell'epoca. Quello che è emerge è uno sguardo sincero sull'alterco con una descrizione cruda ma efficace. «Il Pollanus - si racconta nel testo - incominciò ad insultare volgarmente il detto Pietro di Chioggia. Il detto Pietro chioggiotto reagì rispondendogli rispose: io non ho mai visto un uomo così violento come voi siete. Noi facciamo qualunque cosa possiamo, che sia di bene. Voi, invece, non dite mai abbastanza cattiverie e grossolanità. Pollanus prosegue il verbale - avendo udito questo replicò a Pietro di Chioggia: turpis rustice de m... (brutto contadino di m. ndr). Quindi, afferrò una forca di ferro per il letame e la lanciò verso sopraddetto Pietro chioggiotto. E il detto Pietro (di Chioggia), evitatala, la prese e la rilanciò allo stesso modo al detto signor Pietro (pollanus)».
SCONOSCIUTO IL VERDETTO
Purtroppo, il verbale non prosegue citando anche le specifiche condanne inflitte ai focosi protagonisti della baruffa. Tutto, comunque, lascia presumere che la più pesante sia toccata al pollanus. Cioè, al soggetto che lanciò la forca per primo. «All'epoca, tra le pene più frequentemente inflitte, in questi casi - rammenta Bellemo c'era la pubblica esposizione in cheba termine che tuttora, nel dialetto veneto, sta per gabbia. In dialetto, finire in cheba tuttora significa andare dietro le sbarre. La permanenza del condannato nel gabbiotto, a qualche metro dal suolo, dipendeva dalla gravità del reato. Prima di essere esposto al pubblico ludibrio prosegue Bellemo il pollanus fu sottomesso anche ad altre pene corporali: frustate e bastonate. Inoltre, potrebbero anche essergli stati inflitti il bando dalla città e l'affissione, nei punti strategici, di suoi ritratti eseguiti da abili disegnatori affinché tutti lo tenessero alla debita distanza e lo costringessero a rispettare quello che oggi chiameremmo il daspo... Il ricorso ai disegni, antesignani delle attuali foto segnaletiche risulta sancito definitivamente il 20 maggio 1281, ad integrazione di uno statuto di qualche anno antecedente. Prima di finire in gabbia, il condannato potrebbe aver trascorso anche qualche ora alla gogna, dopo essere stato incoronato con un diadema di carta.
L'ARRESTO

Durante il periodo della pena - riporta un studio di Gianni Penzo Doria, componente del Comitato tecnico scientifico degli archivi in seno al Ministero dei beni culturali - ogni condannato alla cheba doveva sopravvivere esclusivamente grazie alla carità dei passanti. Servendosi di una cordicella, poteva infatti tirar su il pane e l'acqua da bere offerti da mani pietose. Solamente nei casi più gravi, i condannati alla gabbia non avevano scampo. Gli assassini più efferati e i preti pedofili, ad esempio, dovevano rimanerci fino alla morte. Le cronache, a tal proposito, citano il caso di un certo Jacopo Tanto che, il 24 dicembre 1391, fu giudicato colpevole d'aver ucciso un prete che non avrebbe fatto del male ad alcuno». Ben più lieve, secondo Bellemo, la condanna che potrebbe essere stata inflitta al Pietro chioggiotto, responsabile solamente, oggi si direbbe, di eccesso colposo di legittima difesa. «È assai probabile conclude che sia stato ripetutamente frustato o bastonato per aver tentato di vendicarsi restituendo pan per focaccia, mentre si sarebbe dovuto limitare alla segnalazione del fatto alle Autorità, magari dopo averlo preso a legnate».
Roberto Perini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino