L'intervento e il nodo delle nuove alleanze Mosca resta centrale

L'intervento e il nodo delle nuove alleanze Mosca resta centrale
IL RETROSCENA ROMA Una timida e indiretta riapertura di dialogo tra Arabia Saudita e Iran. La consacrazione della Russia come unica superpotenza con la quale in Medio Oriente...

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IL RETROSCENA
ROMA Una timida e indiretta riapertura di dialogo tra Arabia Saudita e Iran. La consacrazione della Russia come unica superpotenza con la quale in Medio Oriente devono fare i conti amici e nemici. La possibile ricomposizione del mondo jihadista attorno alla bandiera del Califfato mai sconfitta del tutto. Una crescente percezione di pericolo tra gli alleati degli Stati Uniti: Arabia Saudita e Israele in primis, dopo il tradimento dei curdi eroi della vittoriosa guerra contro l'Isis. Sempre di più Gerusalemme è consapevole di doversi difendere con le proprie forze da nemici agguerriti. Infine, il terrore dell'Europa di fronte all'eventualità di dover accogliere milioni di profughi siriani e ritrovarsi in casa i foreign fighter.

GLI EQUILIBRI
In Siria è probabile che Assad, con l'appoggio dei russi, tenti di sostituirsi agli americani come protettore dei curdi contro ulteriori mire della Turchia di Erdogan.
Quest'ultimo incassa, in patria e nell'area, un dividendo secco di accresciuto potere e credibilità. Perché quello che troppo spesso in Occidente si dimentica, è che in quell'area tormentata e mai pacificata vige la legge del più forte: il pragmatismo della Russia di Putin, la capacità di penetrazione iraniana, l'intelligenza e la forza militare di Israele, la ricchezza e l'ascendente spirituale dei sauditi. Certo non la democrazia. Assente, finora, l'Europa, con l'eccezione di qualche blanda incursione francese e di tanta retorica. Assente l'Onu. È osservatrice attenta di tutto ciò che avviene la Nato, di cui fanno parte sia la Turchia, sia gli Stati Uniti.
Insomma, Il disimpegno di Donald Trump e il ritiro di un migliaio di militari Usa dalla fascia nord-orientale della Siria sotto controllo dell'YPG, componente curda dell'SDF (le Forze siriano-democratiche), ridisegna alleanze, equilibri e diplomazia di tutto il Medio Oriente. Addirittura in Libia, dove il governo della Cirenaica con il generale Haftar, ha chiesto alla Lega Araba che si riunisce oggi di espellere l'esecutivo tripolitano di Al-Serraj (sostenuto da Italia, Ue e Onu) in quanto vicino a Erdogan e alla Turchia. Putin si prepara a svolgere un ruolo di mediazione: da un lato non infierisce sulla Turchia, dall'altro i rapporti con la Turchia si raffreddano. «L'invasione della Siria ammonisce il leader russo può liberare migliaia di combattenti dell'Isis e questa è una minaccia reale per tutti noi. Come e dove andranno? Attraverso il territorio turco e altri, fino alle zone prive di controllo della Siria, quindi attraverso l'Iraq in altri Paesi».
I MILIZIANI

Putin dubita che la Turchia potrà prendersi carico di tutti questi miliziani. Sono 18mila secondo il Pentagono, di cui 3mila stranieri. Gli stessi americani ricordano la lezione del 2003, quando Camp Bucca diventò l'incubatore del jihadismo sunnita, e gli attacchi ai centri di detenzione furono poi il volano della costruzione dello Stato islamico. Israele, che ha antenne sensibili nell'area, per bocca di Netanyahu che ieri ha commemorato la guerra dello Yom Kippur del 1973, pur apprezzando l'impegno americano ribadisce «la regola base per cui Israele si difenderà da solo contro ogni minaccia». Tutti contro tutti.
Marco Ventura
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino