Io, infermiere cinquantenne e il legame con i pazienti, tra vicinanza e timori

Io, infermiere cinquantenne e il legame con i pazienti, tra vicinanza e timori
LA TESTIMONIANZAUDINE «Il primo giorno che ho messo piede in un'area Covid la sensazione è stata di angoscia, non sai cos'hai di fronte, qualcosa da cui non puoi difenderti. Non...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LA TESTIMONIANZA
UDINE «Il primo giorno che ho messo piede in un'area Covid la sensazione è stata di angoscia, non sai cos'hai di fronte, qualcosa da cui non puoi difenderti. Non tanto per la gestione del paziente perché il nostro è un ospedale attrezzato, sono gli aspetti tecnici: quello che faccio, lo faccio nel modo giusto?. Può mettere a rischio me, un paziente, un collega?». A parlare è un infermiere, un professionista con 23 anni di esperienza alle spalle. Stefano Giglio ha 50 anni e dal '97 fa questo mestiere. Parla per sé, ma anche per tanti altri colleghi, li conosce tutti essendo anche il presidente dell'Opi (Ordine delle professioni infermieristiche) di Udine. «Dal primo giorno ci siamo impegnati su questo fronte racconta e ci siamo messi subito in modalità emergenza, abbiamo percepito la situazione come qualcosa di straordinario. Sono situazione in cui bisogna avere razionalità e adottare comportamenti che non mi ha insegnato nessuno». Parole che richiamano quelle di altri infermieri e medici, tutti con esperienza, ma che di fronte a qualcosa di nuovo e imprevisto hanno dovuto mettere in discussione tutta la conoscenza, le abitudini, le linee guida che si seguivano prima, ma che ora non bastano. «Sono dovuto entrare nell'ottica spiega Stefano che adesso bisogna agire in un certo modo», tutto nuovo anche per chi vanta anni di esperienza in corsia. A non cambiare, invece, è il rapporto con i pazienti, l'attenzione dedicata, anche in un'area intensiva Covid. «Tutti pensano che nelle aree Covid arrivino pazienti sedati e intubati, invece ci sono anche persone sveglie e coscienti e cerchiamo di mantenerle così: una ventilazione non invasiva, farmaci e una certa postura offrono più possibilità. Insegniamo loro anche come comportarsi, come non tossire quando noi siamo nelle vicinanze per ridurre il rischio di eventuali contagi».

Si crea così un rapporto fatto di rispetto e vicinanza, «cerchiamo di instaurare con loro una relazione di aiuto, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche psicologico. Sono in un posto che non conoscono, magari senza telefono, che diventa un isolamento sociale assoluto in un'area asettica». È così che per gli infermieri diventa «di estrema importanza il legame con questi pazienti. Li vedi 3, 4 giorni e tengono duro; vedi nei loro occhi un cenno di salute e per noi è un motivo di gioia immensa. S'interagisce, ci chiedono cosa succede fuori, sono preoccupati per i loro cari che non vedono da giorni. Manca un punto di rifermento che possa dare loro vicinanza, serenità, quindi comunichiamo il più possibile».

La cura è fatta anche di umanità e sorrisi che fanno bene, sostengono e loro sono riconoscenti. «Qualcuno si è addirittura scusato, perché i pazienti si rendono conto che espongono anche i sanitari a un possibile contagio. Ma non si devono scusare, siamo lì a fare il nostro lavoro e per noi è una sfida personale non farli arrivare al ventilatore». Così gli infermieri diventano volti amici, convinti che «il morale sollevato porta positività per combattere la patologia». E tanti pazienti cercano rassicurazioni: «Mi è rimasta impressa un'anziana che ci chiedeva aiuto perché faticava a respirare, le abbiamo spiegato che l'avremmo intubata per farla stare meglio e mi ha fatto tenerezza quando ha chiesto se si sarebbe svegliata, se ci saremmo rivisti». Un'esperienza che si porterà dietro a lungo: «Mi sto accorgendo che sto cambiando ammette Stefano in tanti anni dentro una terapia intensiva il lavoro diventa un po' routine. Ma ora, curare queste persone che non hanno fatto nulla per vivere questo dramma, mi fa riscoprire i sapori della vita e cerco di cogliere i messaggi sul mondo che ci potrà essere dopo». Stefano vorrebbe che da tutto ciò uscisse qualche insegnamento e si chiede se tra un anno i pronto soccorso saranno di nuovo sempre affollati... Quando andremo a visitare un paziente a domicilio che ha la febbre a 40, staremo più attenti, prenderemo più precauzioni?».
Lisa Zancaner
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino