IL QUARTIERE VITTORIO VENETO «Quella sera è rimasto con me fino alla

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IL QUARTIERE
VITTORIO VENETO «Quella sera è rimasto con me fino alla chiusura, quindi fino alle nove meno un quarto, poi ci siamo salutati. Ci vediamo domani mattina, mi ha detto. Ma non è mai arrivato». Laura Casagrande gestisce il Café d'essai di via Dante Alighieri, conosciuto da tutti come il Bar Auto, poco lontano dal garage dove nei mesi scorsi dormiva Renato Fava, il 62enne sulla cui fine stanno indagando Procura della Repubblica e carabinieri. Ci arrivava a piedi, al Bar Auto. Tra le tante voci girate dopo la morte di Fava, c'è anche quella che la sera del ferimento sia caduto dalla bicicletta. «Non può essere spiega Laura la sua bici era rotta, era ferma qui fuori da tempo». L'indomani mattina, il 20 settembre, al bar non si sono subito preoccupati per la sua assenza: «Intorno alle otto, un signore si è presentato qui con il suo borsello prosegue la giovane barista - spiegando di averlo trovato lungo la pista ciclabile, poco lontano dal bar di Sant'Andrea, ancora sporco di sangue, vicino a dei fazzoletti anch'essi macchiati di sangue. Non mi sono allarmata, casomai è caduto e l'ha dimenticato, mi sono detta, e l'ho tenuto qui per tutta la giornata. Solo il giorno dopo abbiamo saputo che era stato portato in ospedale in terapia intensiva. Alcuni ragazzi ci hanno riferito che era stato al bar di via Carso fino alle dieci e mezza di sera con un altro nostro cliente, poi non si sa cosa successo».

IL RICORDO
Mentre Laura parla, si nota dietro di lei, appesa alla parete, la foto di Fava, la stessa utilizzata per l'epigrafe. Come a colmare, almeno in parte, la sua assenza.
Qui gli volevano bene, lo consideravano un amico: «Era una persona molto tranquilla, per i fatti suoi. Trascorreva qui tanto tempo, principalmente da solo, si leggeva il giornale, un libro, non piantava grane con nessuno. Certo, qualche discussione, ma in genere con chi conosceva, non l'abbiamo mai visto discutere con estranei». La barista è scettica quando si ipotizza che sia stato aggredito, casomai per essere rapinato: «Mi pare strano, se è successo dev'essere stato qualcuno che lo conosceva, con cui magari avevano avuto qualcosa da ridire, non credo un estraneo. Soldi non ne aveva, se ne aveva ne aveva pochi, non credo sia possibile». Sconcerto anche tra gli avventori del bar Portafortuna, poco lontano dal quale sarebbe avvenuta l'aggressione. Ieri mattina, ai tavoli, la notizia della riesumazione del corpo al cimitero di Ceneda iniziava già a circolare. Tutti parlano volentieri di Renato: una persona buona, non una attaccabrighe, dicono.
IL CORDOGLIO

E nei volti si legge un dispiacere sincero. «Sono stato molto amareggiato dice Andrea Nardari - Ero suo amico, era una brava persona, seppure avesse i suoi problemi. Un brav'uomo, un lavoratore: siamo rimasti tutti sconvolti da questa storia, non ce l'aspettavamo. Non era uno che piantava baruffe, uno che cercava rogne, stava sulle sue». Difficile pensare che qualcuno abbia voluto fargli del male, ma è altrettanto complicato capire come possa essersi ridotto così, procurandosi traumi e ferite letali di lì a qualche giorno, con una banale caduta. «Io ho saputo dopo una settimana che era in ospedale con un trauma cranico conclude Nardari - Speravo potesse salvarsi, ma il giorno dopo ho incontrato al bar Auto le sue sorelle, andate lì per cercare di capire cosa fosse successo. E mi hanno detto che non c'era più nulla da fare, che era in fin di vita. Il giorno dopo era già morto». «Quando è venuto qui diceva di stare bene, che gli era successo nulla di grave» spiega Wang Xiu Zhen, titolare del bar trattoria Portafortuna di via Carso a Sant'Andrea. «Mi ricordo solo che era un giovedì sera, lui veniva spesso qui da noi, a volte mangiava, ma quella sera è rimasto fino alle 21, ha bevuto un bicchiere di vino e poi è andato via. Sembrava stesse bene, non capiamo come possa essere accaduta questa tragedia».
Lina Paronetto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino