IL PROGETTO BELLUNO La D l'ha vinta, la C gliel'hanno strappata dalle mani -

IL PROGETTO BELLUNO La D l'ha vinta, la C gliel'hanno strappata dalle mani -
IL PROGETTOBELLUNO La D l'ha vinta, la C gliel'hanno strappata dalle mani - e dal cuore - a 4 giorni dal via. Per capire cosa voglia dire costruire una D vincente, e puntare a una...

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IL PROGETTO
BELLUNO La D l'ha vinta, la C gliel'hanno strappata dalle mani - e dal cuore - a 4 giorni dal via. Per capire cosa voglia dire costruire una D vincente, e puntare a una C solida, si può chiamare Andrea Maniero. Ex giocatore professionista, fratello di Pippo (uno dei bomber veneti più importanti degli ultimi decenni), oggi dirigente del Rimini, Andrea fa calcio sul serio. Studia, analizza, conosce, chiama e lavora. Lavora tanto. Tanto quanto serve per vincere la serie D con il Campodarsego, avendo già in mente la C che verrà, con tanto di business plan spianato e studio di fattibilità. Perché una cosa così non la improvvisi, non la butti là. A partire dalle cifre, come per esempio gli oltre 6 milioni di euro messi in campo in questa stagione dal Padova, o i 9 del Perugia (non a caso promosso in B), budget qui impensabili, pure a reti unificate. Quelli i budget per vincere; per partecipare, evitando di precipitare un anno più tardi, può bastare la metà, tra i 2 e i 3 milioni.

Prima però in C devi arrivarci. Come?
«Dipende come ti chiami - spiega il direttore sportivo del Rimini - Bari, Parma e Venezia ci misero poco, mettendo in campo cifre fuori concorso, pagando prezzi fuori categoria. E lì, oltre ai soldi, c'era pure il blasone, che per essere scelti dai giocatori conta. Pensiamo allora, piuttosto, al Cittadella. Come si diventa il Cittadella (squadra di una città di 20 mila anime che milita in Serie B, ndr)?».
Già come si diventa il Cittadella?
«Con la programmazione. Con strutture e risorse umane importanti, e per risorse umane parlo di tutto il gruppo che ruota attorno alla prima squadra, dal team manager al magazziniere passando per il segretario, figura centrale in un organigramma societario. E poi con una società snella, dove chi comanda è uno e può contare su collaboratori con cui la fiducia è massima e reciproca».
Torniamo in serie D però: quanto costa vincerla?
«Se non puoi mettere sul piatto budget monstre la puoi vincere con una sana gestione. Perché ok, se hai 2 milioni e mezzo puoi vincerla facile. Se invece hai 1 milione, 1 milione e 200 mila, non hai garanzia di vittoria contro chi magari ne ha solo 400 mila, ma li spende bene. 400 mila possono bastare per prendere buoni giocatori, la differenza la fa come li scegli e come li gestisci, partendo dagli uomini e dall'educazione. Il comportamento è tutto. L'attaccante buono lo possono avere tutte, è come lavori quotidianamente su testa e cuore a spostare gli equilibri. Io almeno la penso così, e con il Campodarsego abbiamo vinto la D spendendo meno di altri».
Il progetto per la serie C era pronto?
«Ci ho lavorato tre mesi, preparando il piano di sostenibilità. Se programmi e studi, per assurdo può costarti meno una C di una D. Io avevo previsto 500/700 mila euro di ritorno grazie alla legge Melandri, più altri 300/400 mila grazie alle valorizzazioni».
La Legge Melandri è il corrispettivo della Giovani D Valore in serie D, giusto? Se fai giocare i giovani il sistema ti premia.
«Esatto. Grazie al minutaggio, ovvero facendo giocare i tuoi giovani, puoi incassare anche 8/9 mila euro a giocatore a partita. Quindi se sei bravo puoi andare oltre il mezzo milione a stagione. Poi ci sono gli accordi con le grosse società: se fai fare 10 presenze al ragazzo del mio vivaio mi accollo tutte le sue spese; se gliene fai fare 20 ci aggiungo 50 mila euro. E avanti così. Oppure ci sono progetti come quello dell'Albinoleffe: solo giocatori di proprietà, contando che su 22/23 un paio o più poi possano sbocciare. Quindi, vendendoli, ti auto-finanzi l'anno successivo. Il vero passo è fare una D per vincerla».
Com'era riuscito al Campodarsego la scorsa stagione nel girone C di serie D, quello di Belluno, Union Feltre e San Giorgio Sedico.
«Sì. Poi a 4 giorni dal ritiro, con i giocatori in sede per firmare, mi ha chiamato il presidente: Non me la sento più. Nei giorni successivi, quando dovevo andare dagli sponsor, o dai giocatori a dirgli che non avevano più una squadra, mi sono ammalato, ho dovuto ricorrere ai farmaci per la pressione alta schizzata a 190».
Insomma bene la fusione, ma con un progetto chiaro.

«Le tre bellunesi hanno tutto per vincere la D subito. Prima però devono decidere e capire come poi sostenere la C. Tra i pro devi andarci con le idee chiare, il business plan devi farlo oggi, per essere pronto quando sarà. Bene pensare su quale campo giocare in D, ma io penserei già a come preparare quello per la C».
Alessandro De Bon
© riproduzione riservata
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Il Gazzettino